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martedì 13 gennaio 2015

Legge di stabilità comma 566 Saverio Proia

Dopo lo spazio dedicato alla principale voce critica sul comma 566 della Legge di Stabilità 2015prof. Ivan Cavicchi (Clicca), pubblichiamo un prezioso contributo, sullo stesso argomento ma di parere opposto, del Dott. Francesco Saverio Proia alto dirigente del Ministero della Salute. Il Dott. Proia, da anni impegnato nello studio e nella definizione delle organizzazioni sanitarie, ha lavorato lungamente sul tema delle “Competenze avanzate” ed è stato ideatore e convinto sostenitore della “Cabina di regia” delle professioni sanitarie, al centro della riforma del sistema sanitario nazionale. Com'è noto, la Cabina di regia andrà a costituire uno degli strumenti attraverso il quale il comma 566 dovrebbe produrre i frutti dell’auspicato miglioramento organizzativo e professionale anche per gli infermieri.
Da tempo al Ministero si pensava a questo progetto e, finalmente, grazie all’impegno e al contributo fondamentale del Dott. Proia i primi atti concreti hanno visto la luce.


Dott. Francesco Saverio Proia alto dirigente del Ministero della Salute L’ormai mitico comma 566, con poche parole ha legiferato in materia di competenze avanzate e specialistiche delle 22 professioni sanitarie infermieristiche-ostetrica, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, l’altra metà del cielo dell’universo sanità, oltre 600.000 produttori di salute: ora che altro si inventeranno gli avversari per bloccare un processo di innovazione nell’organizzazione del lavoro sanitario funzionale per meglio garantire il diritto alla salute e non per contrapporre corporazioni professionali a corporazioni?
E’ palese che siamo in presenza di un ulteriore capitolo di quella straordinaria avventura della riforma delle professioni sanitarie che ho avuto la fortuna, il coraggio e la tenacia di aver contribuito alla sua elaborazione, alla sua definizione, alla sua approvazione e alla attuazione ed alla manutenzione con diversi ruoli in progressione: dirigente sindacale, consulente dei gruppi parlamentari, consigliere per le professioni sanitarie nei Governi Prodi 1 e 2, Amato e D’Alema, dirigente ASL, esperto in materia delle Regioni, consulente dell’Assessore alla Sanità della Regione Lazio, sino a dirigente al Ministero della Salute con il compito di curare per il Gabinetto e la competente Direzione Generale le problematiche delle professioni sanitarie e del personale del Servizio Sanitario Nazionale.
La riforma delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, tecniche riabilitative che ha mutato e sta mutando l’organizzazione del lavoro in sanità e ha realizzato la più profonda trasformazione negli assetti professionali mai realizzata in Italia e non solo, è stata un’entusiasmante vicenda durata oltre un quarto di secolo nella quale il sogno è divenuto realtà, l’impossibile possibile.
Ora si è in presenza di questo passaggio fondamentale: l’implementazione delle competenze delle professioni sanitarie anche attraverso l’affidamento ad esse di competenze di cui sono attualmente titolari le professioni mediche, senza che venga meno la loro titolarità.
Si è di fronte ad un fase non solo fondamentale ma anche epocale: si affronta, finalmente, la spendibilità dell’enorme potenziale formativo ed ordinamentale, peraltro in parte ancora inespresso, di queste professioni ridisegnando il loro rapporto con le professioni mediche aggredendo un tabù considerato inviolabile in certa cultura professionale, cioè l’atto medico.
Da tempo in Italia si è esaminato come queste professioni sanitarie possono essere valorizzate esaltando la loro autonomia e competenza all’interno di quelle che tradizionalmente era il loro agire professionale ma mai si è affrontato in forma organica e pianificata il problema di come si possa affidare loro competenze svolte da personale medico: si è discettato come meglio far navigare i vascelli delle 22 professioni sanitarie all’interno del “mare nostrum” ed ora si vuol provare a far navigarle oltre le colonne d’Ercole nell’Oceano delle competenze mediche.
L’implementazione delle competenze delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione di ostetrica è emersa come una necessità strategica per lo stesso sistema sanitario nazionale attraverso un convinto e approfondito dibattito e ragionamento sviluppato all’interno delle componenti più avanzate della categoria medica, fatto proprio e sviluppato poi dalle Regioni e dal Ministero della Salute e divenuto patrimonio del sindacato del comparto sanità e dalle rappresentanze professionali.
La prima motivazione di tale scelta strategica è stata ed è il previsto calo fisiologico della presenza attiva dei medici nel mercato del lavoro sanitario nei prossimi anni tale da prevedere una diminuzione della disponibilità di medici nel nostro Paese.
Tale previsione è stata riportata nella proposta di Piano sanitario nazionale 2011-2013: a partire dal 2012 è previsto un saldo negativo fra entrate e uscite con tendenza al progressivo allargamento della forbice negli anni a seguire; la stima parla di una carenza di 18.000-22.000 medici entro il 2018, passando da 3,7 medici attivi per 1.000 ab. a 3,5 (la media europea e di 3,1 medici attivi per 1.000 ab.).
E’ evidente, però, che non si è in presenza di un’emergenza medica in quanto non esiste un rischio per il SSN se entro il 2018 avremo 3,5 medici ogni 1.000 ab., quando la media europea e di 3,1; quella che si prospetta all’orizzonte non è quindi una reale carenza, bensì il fatto che l’attuale organizzazione sanitaria deriva da quella impostata quando il problema era inverso, ovvero da quando si era in presenza di un’anomalia del sistema la cosiddetta pletora medica.
Si è, pertanto, sviluppata un’eccessiva medicalizzazione dell’organizzazione del lavoro affidando ai medici competenze che nel resto d’Europa ed oltre svolgono altri professionisti della salute, diversi dai medici; si è così determinata una situazione nelle quali l’apporto dei medici in determinate attività non ha portato un reale valore aggiunto.

Alcuni esempi possono aiutare a sostanziare la questione:
·       per partorire per via naturale oggi è richiesta la presenza del medico; di norma potrebbe bastare l’ostetrica;
·       per certificare l’abitabilità di un edificio o la sicurezza di un’impresa serve il medico; sarebbe sufficiente un tecnico della prevenzione;
·       per fare le vaccinazioni deve esserci il medico; basterebbe l’assistente sanitaria;
·       la gestione dei controlli routinari della cronicità è affidata a medici specialisti in svariate discipline; potrebbe essere svolta da infermieri opportunamente formati che riferiscono al medico i soli casi di scostamento dalla normalità;
·       la cronicità psichiatrica potrebbe essere gestita valorizzando i contenuti professionali degli psicologi, degli infermieri dei tecnici della riabilitazione psichiatrica, degli educatori professionali;
·       in emergenza ed in area critica alcune funzioni quali la gestione di alcune patologie o infortuni minori da codice bianco, alcune operazioni salvavita in ambulanza, l’assistenza in anestesia, potrebbero essere svolte da infermieri ad hoc formati e sulla base di protocolli concordati con i medici;
·       l’ospedale per intensità di cura potrebbe dar corso a forme più razionali della attività di guardia notturna e festiva del medico con una diversa integrazione professionale con gli infermieri in turno.

Si potrebbe continuare a lungo con esempi di questo tipo che, invece che essere accettati come modalità immodificabili di erogazione delle attività, andrebbero visti come situazioni sulle quali sarebbe opportuno sviluppare fare degli approfondimenti con le diverse componenti professionali, ovviamente compresa quella medica.
E’ evidente che la contrazione della presenza medica nel SSN non può essere affrontata se non intervenendo sull’organizzazione, alla luce dei livelli di istruzione e formazione raggiunti dalle altre professioni sanitarie: si tenga anche conto che i costi formativi fra medici e altri professionisti della salute sono molto diversi, e non solo per la questione delle borse di studio legate alla specializzazione.

La proposta del Ministero della Salute e delle Regioni
All’orizzonte, quindi, si prospetta un cambiamento epocale che deve essere opportunamente accompagnato, anche per poter superare prassi esistenti e vincoli normativi che oggi obbligano ad avvalersi dei medici anche per attività che potrebbero essere gestite da altre figure professionali, senza che si debba loro far correre il rischio di incorrere in situazioni di abuso della professione medica.
Per questo, su indicazione dell’allora Ministro alla Salute, prof. Ferruccio Fazio, si è voluto partire con il piede giusto, integrando, su proposta comune del Direttore della Programmazione sanitaria e di quello delle Professioni sanitarie il capitolo del Piano sanitario nazionale 2011-013 relativo alle risorse umane, un ulteriore punto per la ridefinizione delle funzioni del personale sanitario alla luce delle nuove competenze e abilità acquisite dalle diverse professioni sanitarie, definendo allo stesso tempo il problema e la soluzione.
La proposta di PSN, compresa la sopraddetta integrazione, fu approvata sia dal Parlamento che dalla Conferenza Stato – Regioni; la frase inserita recitava così:
Anche l’assunzione di nuovi compiti da parte delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, fenomeno già in atto nel nostro come (in forma ancora più evidente) in altri Paesi europei, contribuirà ad un minore fabbisogno di medici”
Nel frattempo in Toscana su proposta della Società scientifica regionale di medicina d’urgenza con la condivisione di tutti gli Ordini provinciali dei medici, escluso quello di Lucca, fu avviata la riorganizzazione dei DEA con il metodo SEE AND TREAT con cui fu prevista la gestione dei codici bianchi anche da parte di infermieri allo scopo formati e sulla base di protocolli concordati con i medici, nonché l’Ambulanza Infermieristica (c.d. India) con la previsione che l’infermiere possa svolgere operazioni salvavita.
Questa scelta fu oggetto di una denuncia per esercizio abusivo della professione medica alla Procura di Repubblica di Firenze da parte dell’Ordine Provinciale dei medici di Bologna che, dopo aver acquisito i pareri del Ministero della Salute, della Regione Toscana, dell’Ordine dei Medici di Firenze e dell’IPASVI, archiviò la denuncia non riscontrando alcun reato né alcuna illegittimità e questo già potrebbe bastare per condividere la giustezza e la correttezza della proposta di accordo sulle competenze avanzate degli infermieri: infatti per la Magistratura non esiste alcun reato di esercizio di abuso della professione medica né deve essere prevista alcuna ulteriore legge per prevedere ulteriori competenze avanzate e specialistiche agli infermieri, essendo sufficienti le attuali norme.
Nel frattempo analoghe forme di sperimentazioni di competenze avanzate furono avviate in Emilia Romagna, in Puglia, in Veneto, sempre su proposta delle competenze più avanzate della professione medica, valga per tutti l’esemplare documento del Collegio dei Primari di anestesia e rianimazione del Triveneto (Clicca) che ha magnificamente descritto la necessità, anche in Italia della partecipazione dell’infermiere al trattamento peri-operatorio.
Al fine di governare in forma organica tale processo di innovazione le Regioni chiesero al Ministero della Salute l’istituzione di uno specifico tavolo tecnico per l’implementazione delle competenze avanzate delle professioni sanitarie e l’attivazione delle specializzazioni previste dall’articolo 6 delle legge n. 43/06.
Dopo quasi due anni di intenso lavoro e di confronto con tutte le rappresentanze professionali e sindacali, si è giunti a due prime proposte una riguardante le professioni infermieristiche e l’altra riguardante la professione di tecnico di radiologia medica.
Quest’ultima, cioè quella del TSRM, più completa di quella dell’infermiere in quanto sono già previste le competenze specialistiche, per il resto è analoga all’altra, è stata condivisa ed esaltata da tutte le componenti mediche e fisiche dell’area radiologica, al contrario la proposta sulle competenze avanzate dell’infermiere, dopo un’iniziale condivisione della FNOMECO e dei stessi sindacati della dirigenza medica e sanitaria, hanno mutato l’iniziale posizione positiva affermando di non poterla più condividere esponendo motivazioni basate su posizioni di mera difesa acritica delle competenze mediche, mai messe in discussione dalla stessa proposta di accordo degli infermieri che più che entrare realmente nel merito.
Per affrontare e risolvere il disagio reale e a quello avvertito dei medici una prima risposta, apprezzata ed accolta entusiasticamente dai sindacati della dirigenza e da quelli del comparto, è stata quella della proposta di “Cabina di regia” che è stata solennemente ratificata il 13 novembre 2014 (Clicca) da uno specifico Accordo Stato-Regioni, con cui l’innovazione può essere governata e promossa con la partecipazione ed il consenso di tutti: è evidente che l’accordo sulle competenze avanzate e quello sulla cabina di regia sono tra loro interconnessi ed interagenti.
Infatti il progetto delle competenze avanzate non solo è stato acquisito come una scelta, convinta e partecipata, strategica del sindacato confederale e di categoria per innovare l’organizzazione del lavoro sanitario, ma ormai è vissuto da parte larga degli infermieri e delle altre loro professioni sanitarie come un obiettivo da raggiungere, senza se e senza ma, quale naturale evoluzione della loro formazione universitaria e dell’essere divenuta una professione autonoma e liberale, ma soprattutto dalla consapevolezza che quanto proposto nel nostro Paese è realtà, perlopiù con più incisività, da molti decenni in quasi tutti gli altri Stati europei ed extraeuropee.
Come si può vedere dall’esame della stampa di quel periodo analoghi argomenti furono utilizzati dalle stesse sigle sindacali mediche vent’anni fa quando furono varati i decreti istitutivi dei nuovi profili professionali dell’infermiere e delle altre professioni sanitarie, emanati addirittura con il parere contrario di larga parte del Consiglio Superiore dei Sanità, ma l’Esecutivo di allora, convinto che quest’innovazione era richiesta e condivisa da parte larga della stessa categoria medica varò il provvedimento che avviò la riforma delle professioni sanitarie completata dalle leggi (42/99, 251/00 e 43/06) votate all’unanimità dal Parlamento; con quell’iniziale provvedimento fu possibile affidare agli infermieri competenze del medico (flebo, endovena, catetere maschile...) che di fatto venivano da loro svolti e che da allora lo divenivano anche di diritto; quindi siamo in presenza di una ripresa del cammino di allora, per troppo tempo, colpevolmente, interrotto.
Analogamente si tratterebbe per le attuali competenze avanzate, funzioni che in parte nella prassi vengono svolte dall’infermiere in accordo con il medico e con questo provvedimento verrebbero normate, regolando le procedure condivise e partecipate: funzioni che per non sminuirle ma per inquadrare correttamente il fenomeno, non investono né riguardano quelle complesse ed elevate proprie della formazione medica ultradecennale, bensì quelle competenze che per l’attuale formazione universitaria e, del caso, anche con una formazione complementare e/o specialistica, il laureato in infermieristica possa svolgere sulla base di protocolli concordati, con enorme e qualificato vantaggio per chi usufruisca di quelle prestazioni sanitarie, senza che ciò costituisca né esercizio abusivo della professione medica né esproprio di competenze che rimangono del medico, ma che anche dall’infermiere possano essere svolte, sulla base delle procedure sopradescritte.
Nel merito delle obiezioni di parte del sindacalismo medico appare opportuno ricordare che l’attuale testo, rispetto al precedente che aveva la pretesa di definire tutto, metodo e competenze centralmente, nella sua semplicità e democraticità è quantomeno innovativo e discontinuo: la proposta di Accordo definisce il metodo ed il percorso successivo; il metodo è quello per il quale la politica attraverso le scelte di programmazione sanitaria nazionale e regionale indica le aree nelle quali si voglia implementare le competenze delle professioni sanitarie e le modalità attuative (protocolli, formazione ulteriore, se necessaria, etc.) sono affidati alla scelta vincolante e vincolata dell’intesa tra le rappresentanze delle professioni interessate (nel caso specifico medici ed infermieri).
Quindi nessuna prevaricazione o attentato di lesa maestà medicaesattamente il contrario in quanto la finalità e l’origine di tale scelta è soprattutto quella di meglio organizzare, qualificare ed esaltare non solo il tempo di lavoro medico ma lo stesso ruolo del medico che da questa riorganizzazione del lavoro sanitario ritrova la sua collocazione adeguata alla sua funzione propria del lungo percorso accademico di formazione specialistica.
Non si è in presenza di un’ipotesi di divisione del lavoro e del cittadino utente, esattamente il contrario: si ricompone, finalmente, il processo di tutela della salute riaffermando che l’atto sanitario è dato dall’insieme e non dalla somma delle professioni che intervengono ed interagiscono, senza supremazia gerarchica, bensì in una logica di governance unitaria, unificante e plurale, il tutto per meglio contribuire all’attuazione del diritto alla salute, costituzionalmente garantito.
E’ evidente che il professionista che svolgerà le competenze avanzate e a maggior ragione quelle specialistiche, dovrà dalla contrattazione, ora quella aziendale e quando riprenderà quella nazionale, avere la garanzia di un ulteriore trattamento economico, come già avviene nelle Aziende sanitarie nelle quali il fenomeno si è già attuato: all’interno delle attuali risorse economiche del SSN un processo di tale natura non potrà che trovare cittadinanza… iniziamo e poi…

Saverio Proia