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martedì 27 marzo 2012

Riconoscimento dei titoli: http://www.salute.gov.it


Riconoscimento titoli

Coloro che hanno conseguito all’estero un titolo professionale dell’area sanitaria ed intendono esercitare la professione in Italia, devono ottenere dal Ministero della Salute il riconoscimento del titolo. Di seguito si fornisce l'elenco delle professioni sanitarie e arti ausiliare per le quali si può presentare istanza di riconoscimento presso il Ministero italiano
Coloro che, in possesso di un titolo italiano, desiderano esercitare la professione sanitaria all’estero, devono rivolgersi direttamente all'autorità competente del Paese dove intendono lavorare. Qualora fosse richiesto, il Ministero della salute italiano rilascia un "attestato di conformità e del good professional standing”
La procedura di riconoscimento di un titolo acquisito in un Paese dell'Unione Europea, è diversa a seconda che il possessore del titolo sia:
  • cittadino dell'Unione Europea
  • cittadino non comunitario
La procedura di riconoscimento di titoli conseguiti in Paesi non comunitari si applica anche quando il titolo è stato già riconosciuto in un altro Paese dell’Unione Europea, pur tenendo in considerazione le eventuali integrazioni di formazione e di attività professionale acquisite

i rischi e le controindicazioni dei piercing orali




I rischi e le controindicazioni dei piercing orali

GDO 2011;7
Renato Torlaschi
Tra gli Aztechi, il piercing alla lingua era considerato un’offerta agli dei ed era parte di complicati rituali religiosi; pare invece che i Maya lo ritenessero una dimostrazione di forza. Forma d’espressione che risale a epoche lontane, il piercing è ora una moda diffusissima in tutto il mondo, specialmente tra i giovani. Perforazioni alla lingua, alle labbra e alle guance, brillantini temporanei e permanenti ai denti: bocca e dintorni sono tra le più popolari sedi del body piercing, seconde solo ai classici fori alle orecchie. Ma oltre alle considerazioni estetiche o sociologiche, in cui non intendiamo addentrarci, esistono implicazioni mediche rilevanti e generalmente sconosciute o sottovalutate da chi si sottopone a queste pratiche. Molto spesso i piercing vengono effettuati da operatori privi di qualunque specializzazione professionale oltre a quella derivata dall’esperienza e che possono avere gravi carenze dal punto di vista anatomico e clinico. In questi casi, gli interventi possono essere eseguiti senza anestesia e con un controllo del tutto inadeguato delle infezioni, mentre il follow-up è in genere inesistente. 
Non è dunque sorprendente che sia stata documentata una grande varietà di complicazioni associate ai piercing orali. Il medico o l’odontoiatra vengono spesso chiamati in causa solo quando il problema si è manifestato in tutta la sua gravità.
I problemi
 Tra i più frequenti inconvenienti in cui può incorrere chi si affida a un piercer non professionale, ci sono le infezioni. La ferita, la gran quantità di batteri presenti nella cavità orale e l’introduzione di ulteriori microorganismi durante l’intervento rendono il rischio di infezioni molto elevato. Strettamente connessa alle infezioni locali, c’è la possibilità di trasmissione di diversi tipi di patologie; una mancata o impropria sterilizzazione degli strumenti utilizzati può causare infezione da parte dei virus dell’herpes simplex, dell’HIV o delle epatiti B e C. 
Inoltre, la ferita può aprire ai microorganismi patogeni la strada maestra del flusso sanguigno e portare fino al cuore. L’endocardite infettiva è una malattia causata dall’infezione microbica del rivestimento endoteliale del cuore. La lesione caratteristica è la vegetazione, una lesione che deriva dalla deposizione di piastrine e fibrina sulla superficie endoteliale del cuore: generalmente si sviluppa su una valvola cardiaca, ma talvolta compare su altre parti dell’endocardio. Altra conseguenza documentata è l’angina di Ludwig, che è localizzata nello spazio sottomandibolare, ma si estende rapidamente ai tessuti molli del collo e alla regione laringea, con pericolo di soffocamento per edema della glottide e che richiede un intervento tempestivo.
Ulteriori complicazioni comunemente associate ai piercing orali sono i danni ai nervi. Ne sono spia: intorpidimenti, deterioramento della sensibilità e problemi di mobilità se la sede del piercing è la lingua. Quando la perforazione coinvolge i vasi sanguigni, possono verificarsi sanguinamenti prolungati. In casi gravi, il gonfiore della lingua crea difficoltà di respirazione fino a chiudere le vie respiratorie.
In tempi più lunghi, i piercing orali aumentano il rischio di danni alle gengive. La letteratura documenta ferite tissutali, ma anche retrazioni gengivali, che lasciano la radice del dente maggiormente esposta alla carie e alle malattie parodontali, fino alla perdita di elementi dentali. In questo caso, anche il danno estetico compensa ampiamente l’opinabile abbellimento che alcuni attribuiscono al piercing. Seppur meno fragili delle gengive, anche i denti possono essere danneggiati: il contatto con il metallo può produrre fratture, in particolare quando il dente ha subito riparazioni. Alcuni studiosi hanno riportato percentuali di denti scheggiati fino al 47% tra i soggetti che portano la classica barretta metallica alla lingua per almeno quattro anni.
Danni tissutali
Un recente studio condotto su circa 200 giovani francesi ha mostrato che i danni tissutali variano considerevolmente in funzione del materiale di cui è composto l’ornamento inserito nella cavità orale. Titanio, acciaio chirurgico e Teflon sono stati associati a recessione gengivale rispettivamente nel 52,9%, 23,5% e 9% dei casi, mentre si sono avuti danni ai tessuti duri dei denti nel 35,7%, 42,9% e 14,3%.
I piercing si associano spesso a difficoltà nelle più normali funzionalità orali: masticare, inghiottire alimenti solidi e persino parlare in modo chiaro. Una delle ragioni sta nell’eccessiva secrezione di saliva indotta dall’oggetto estraneo presente nel cavo orale. Anche il senso del gusto ne può essere alterato.
C’è poi il non trascurabile capitolo delle reazioni allergiche al metallo: le dermatiti da contatto sono un effetto avverso che si manifesta come una reazione di ipersensibilità e determina rossori e prurito. L’utilizzo di leghe contenenti nichel determina la maggior parte dei problemi allergici.
Infine, ad alcuni soggetti è capitato di inghiottire alcuni elementi del piercing dopo che le palline di metallo si sono svitate dalla barretta e hanno riportato lesioni al tratto digestivo.
Abbiamo dunque a che fare con un tipo di gioielli molto pericoloso. Anche quando si è così fortunati da non risentire di nessuna delle complicazioni durante l’intervento, la lingua a cui è stato applicato il piercing richiede generalmente dalle quattro alle sei settimane per guarire, mentre un piercing alle labbra guarisce in uno o due mesi. Durante questo periodo bisognerebbe seguire tutta una serie di precauzioni, anch’esse largamente ignorate o disattese. Bisognerebbe evitare gli alcolici, i cibi speziati e quelli troppo duri e croccanti; non fumare o usare prodotti a base di tabacco; spazzolare dopo ogni pasto e fare sciacqui con colluttori; sciacquare frequentemente la bocca con acqua salata tiepida. 
E, se non si è pensato di farlo prima, fare una visita dal proprio dentista.
Bibliografia
Oral Surg Oral Med Oral Pathol Oral Radiol Endod 2010;110:744-7.
Community Dent Health 2010 Mar;27(1):35-40.
Dent Traumatol 2005;21:341-3.




Diritto.it la cassazione allarga le maglie del reato


Diritto.it

La cassazione allarga le maglie del reato


Con la sentenza n. 11545 depositata il 23 marzo 2012, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno esteso i confini della configurabilità del reato di esercizio abusivo di una professione, punibile a norma dell’art. 348 c.p., statuendo il principio di diritto secondo cui la fattispecie penale in oggetto si materializza:
a) non solo per il compimento senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via esclusiva a una determinata professione;
b) ma anche per il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano univocamente individuati come di competenza specifica di una data professione. Ciò vale sul presupposto che il medesimo compimento venga realizzato con modalità tali, per continuità, onerosità e (almeno minimale) organizzazione, da creare. in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato.
In particolare, le attività caratteristiche degli iscritti all’Albo unico dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di cui al D.Lgs. 139/2005, in quanto non esclusive, non determinano la consumazione di un illecito penale per il fatto stesso di essere svolte da un non iscritto all’Albo. La condotta di quest’ultimo assume rilevanza penale, integrando così gli estremi del reato di esercizio abusivo della professione di ragioniere, perito commerciale o dottore commercialista, nel momento in cui lo svolgimento delle attività caratteristiche (tenuta della contabilità aziendale, redazione delle dichiarazioni fiscali ed effettuazione dei relativi pagamenti) avvenga in modo continuativo, organizzato e retribuito, configurando l’oggettiva apparenza di un’attività professionale. Solo se il soggetto agente espliciti in modo inequivoco che egli non è munito di quella specifica abilitazione e opera in forza di altri titoli o per esperienza personale comunque acquisita, potrà dirsi assente l’elemento dell’oggettiva apparenza da cui il Collegio Supremo fa discendere la rilevanza penale della condotta.

etica e professione- articolo


Etica e Professione di
Irene Riccitelli Guarrella



Etica e professione

Penso che l’odontoiatria, in ogni branca, possa integrarsi e trarre maggiore vantaggi dalla sinergia con la professione dell’igienista dentale.
E’ proprio a tale proposito che i prossimi quindici minuti, non di più, cercherò di affrontare alcune riflessioni sull’etica e professione. E’ motivo di dibattito oggi  la “liberalità” delle professioni, legata ad una deregolamentazione degli albi, ad un accreditamento istituzionale delle associazioni e conseguentemente sulla necessità di un confronto serrato sull’etica e precisamente su etica e professione.
Iniziamo con il chiarirci etimologicamente il significato della parola “ETICA”, perché solo parlando lo stesso linguaggio avremo la possibilità di aprire un confronto costruttivo.
ETICA: costume, norme di vita. Questo concetto entrò nell’uso con Aristotele il quale così intitolò le sue trattazioni filosofiche nella pratica. i tre elementi della filosofia di allora erano suddivisi in “logica” (dottrina della scienza), “fisica” (dottrina della realtà), “etica” (comportamento rispetto alla realtà). Il termine di allora acquisito alla filosofia di etica è stato sempre identificato con il concetto di morale.
Kant, filosofo nato ai primi del 1700 sosteneva che la libertà di scelta derivasse essenzialmente da un pensiero filosofico; oggi, per i biologi, (pensiero meccanicistico) la libertà di scelta deriva essenzialmente da un provato scientifico. Sostanzialmente con studi scientificamente comprovabili.
Da questo brevissimo preludio, possiamo introdurci in etica e professione tenendo presente che non esiste un’etica del medico, un’etica dell’igienista dentale o della segretaria, ma esiste l’etica, e che l’etica in medicina ha subito in questi ultimi decenni un complesso cambiamento di rotta. Parallelamente, il grande sviluppo  della tecnologia e delle conoscenze scientifiche in odontoiatria ha aumentato la capacità di intervenire da un lato, ma dall’altro ha accresciuto la complessità delle decisioni e delle responsabilità da assumersi.

E’ certo che la responsabilità è un atto che si deve riflettere nei comportamenti pratici, evitando le ricadute negative. E’ altrettanto certo che il gran progresso scientifico e tecnologico ha portato a guardare al paziente non come ad un essere sofferente e bisognoso di rispetto, ma ad un numero, all’interno di processi tecnologici e ricercati, i quali tendono a guarire il corpo ma a lasciare sofferente l’animo.
L’etica deve porci sempre una serie di interrogativi. Il codice deontologico, al quale il professionista deve aderire, dovrà essere il frutto non di un semplice decalogo ma  una scelta radicale di valori interiorizzati in piena coscienza.
Banalissime domande: quello che io sto facendo risponde ad un principio di beneficità (bene del paziente in assoluto)? Le conoscenze scientifiche in mio possesso sono tali e tante da potermi assumere la responsabilità oggettiva di quest’atto? Posso saper e fare di più? Mi sto occupando della malattia o della persona malata? Il mio comportamento può nuocere a qualcuno?
Pensate solamente a quanto siano importanti e sostanzialmente improntati sull’etica i diritti ma anche i limiti, gli obblighi, gli impegni che ci assumiamo nel rapporto professionale con l’odontoiatra. Dobbiamo saper rispettare, in assoluto, l’atto medico della diagnosi, sapere esattamente il nostro ruolo, la nostra posizione per non prevaricare il lavoro altrui, nello stesso tempo dobbiamo guardare, scientificamente, alla nostra professione anche in situazioni dove l’odontoiatra ha posizione diverse dal nostro sapere. Dobbiamo saper conciliare l’etica (che altro non è che morale e quindi rispetto di se stessi), con una serie di problematiche che coinvolgono a 360 gradi la vita di tutti i giorni. Come l’etica deve guidarci nel rapporto igienista/odontoiatra, nel frattempo, eticamente, dobbiamo rapportarci al paziente ed alla società. Ci accorgeremo che difficilmente le esigenze degli uni s’integrano con le necessità degli altri, in particolare modo in una società dove si sposano economia e salute, essere o avere, immagine e realtà.
Così una serie di interrogativi dovranno essere risolti “eticamente”. Dal problema costi/benefici, (che già di per sé come problema, fa tremare i polsi), alla qualità del servizio che offriamo, alle conoscenze scientifiche. Per esempio: quando parliamo di conoscenza scientifica qual è il criterio da seguire eticamente? La conoscenza scientifica imperniata sulla letteratura o dovrà guidarci la nostra esperienza clinica, oppure dobbiamo rifarci ad una decodificazione dei risultati della ricerca scientifica specifica che ci dice ciò che dobbiamo fare e ciò che non dobbiamo fare? Fondamentalmente l’etica  afferma che nulla deve essere legato al libero arbitrio, nè può essere fatto solo sulla propria esperienza individuale: tutto ciò serve solo a reiterare i nostri errori. Dobbiamo avere delle linee guida, dei protocolli che rifacendosi all’esperimento clinico scientifico controllato ci fornisce le “PROVE DI EFFICACIA”. Sapevate che non c’è nessuna differenza tra ablazione manuale e ablazione ultrasonica; sapevate che si lascia il 10/20% di tartaro sulla radice anche se fatto su un dente estratto ? – questo è il risultato di una prova di efficacia ottenuto dalla decodificazione di ricerche scientifiche specifiche e comparate.
  
Quanti di voi sanno che, rispetto alla motivazione, i manuali di autoapprendimento sono altrettanto efficaci dei programmi di istruzione forniti professionalmente alla poltrona? Esistono a proposito 5 esperimenti scientifici in letteratura che dimostrano che non esiste nessun rapporto tra livello di conoscenza, atteggiamento psicologico corretto, comportamento. Qual è il problema e su quali basi facciamo il nostro lavoro ? sulla nostra esperienza clinica oppure sulla letteratura scientifica basata sulle prove di efficacia?
Ci accorgiamo così che non è così banale, come sembrerebbe, rispondere alle domande semplicistiche inizialmente poste. E’ evidente che se le domande che ci poniamo coinvolgessero la vita o la morte certamente queste problematiche sarebbero di natura drammatica ma se è vero, come è vero, che l’odontoiatria fa parte integrante della medicina, dobbiamo considerare il ruolo preminente che l’odontoiatria ha assunto con i pazienti HIV, affetti da cancri del cavo orale, con malattie sistemiche e i danni da malattie focali.  
L’atto sanitario deve rispondere al concetto Ippocratico dove l’obiettivo è il bene del paziente in assoluto o al concetto libertario/autonomistico dove l’etica è vista per la capacità di rispettare i valori del paziente e la sua autonomia di scelta? Dovrà essere privilegiato la supremazia del concetto di benificità o il rispetto del concetto di autonomia dell’individuo? Sono dei nostri giorni le leggi che riguardano la riservatezza, il consenso informato, il segreto professionale.
La risposta non è semplice anche perché, mentre la risposta risulta ovvia nel rapporto igienista /paziente HIV positivo, perché è certo che il paziente ha diritto alla terapia ed ha il diritto di sapere, non è altrettanto ovvio se l’igienista deve dire o no ad altri la verità. E’ più importante la privacy o la salute della comunità?
Il contesto socio culturale gioca un ruolo molto importante ed, in effetti, notiamo che in Italia è garantita per legge, in assoluto, più la privacy del paziente che in altre legislazioni, dove è preponderante la protezione del bene della comunità.
 E’ evidente che la nostra scelta sarà vista in rapporto ad un’etica globale. Kant sosteneva che l’etica, in tutte le culture, si differenzia solo nella cultura. Weber sosteneva che i parametri etici cambiano con il cambiare delle culture.
L’impostazione della nuova odontoiatria, come in tutta la politica sanitaria oggi è vista in rapporto all’economia, vediamo così la trasformazione in aziende ospedaliere, budget, piani economici, bilanci - certo è che il binomio economia e salute da parte dell’operatore sanitario è vissuto in modo conflittuale ed imbarazzante e l’etica ha il compito di vigilare e salvaguardare quei valori umani che spesso vanno in direzione opposta ai valori puramente economici. Forse il punto chiave, in campo etico, tra medicina ed economia, sta nel rapporto tra comunità ed individuo là dove il bene della comunità entra in conflitto con il bene dell’individuo. Tutto questo si è evidenziato con lo svilupparsi della scienza e della tecnologia. Ma se risolvere tutti i problemi in termini economici è la fine tra il potere politico e quello economico è anche la fine della preminenza dell’individuo in termine di materia sanitaria.
E’ etico tutto ciò?
  
L’etica professionale, nell’espletamento dell’attività clinica richiede un gran coinvolgimento del paziente, delle sue aspettative, delle sue sofferenze, dei valori soggettivi e più che mai l’igienista dentale, anello di congiunzione, tra medico e paziente, paziente e comunità, ha il dovere di ascoltare, di rispettare l’essere umano, di relazionarsi con una persona sofferente che chiede aiuto con disponibilità volta a svolgere il suo ruolo in scienza e coscienza, nel rispetto della persona che chiede aiuto, ma nel frattempo salvaguardando il diritto all’autodeterminazione del paziente.
A proposito di questo alcuni filosofi moderni hanno proposto un modello di tipo contrattuale per quanto riguarda i rapporti terapeutici, basto sull’eguaglianza dei partner. Ne consegue che l’operatore sanitario deve rispettare le scelte autonome del paziente per quanto riguarda la terapia ed i servizi sanitari.
Ritorna qui il superamento, in parte, del pensiero Ippocratico dove il medico era la “Scienza” e poteva operare sopra ogni condizionamento e dove oggi s’inserisce il concetto d’autonomia ed il diritto di scelta individuale, base della moderna democrazia.
Come ha testimoniato il Prof. Giorgio Vogel, una tappa importante è stata raggiunta da un gruppo di medici, odontoiatri e filosofi riunitosi nell’isola di COS, luogo di nascita di Hippocrate, nel 1993, per riformularne il giuramento e soddisfare i requisiti e le necessità del mondo moderno dove la medicina ed odontoiatria, degni di questo nome, debbono coincidere con scienza ed etica.
La qualità della vita migliorerebbe se la tecnologia si ancorasse, come nell’illuminismo, ai valori umanistici e antropologici.
Platone disse: “Il maggiore errore dei nostri tempi è che i medici separano l’anima e lo spirito dal corpo”, questa è una riflessione che deve coinvolgere tutti.
Se mi è permessa ancora una citazione del Professor Giorgio Vogel il quale, attraverso i suoi scritti mi ha indicato simbolicamente il percorso da seguire, dice: “High Teche – High Touch”: più tecnologia, informazione scientifica e aggiornamento forniscono nuovi e più accurati strumenti, maggiore deve essere l’impegno di coloro che usano le mani per visitare, curare, stringere le mani, confortare, sostenere.
In un momento di gran liberismo, la coscienza etica, che possiamo caratterizzare come una parte del processo attraverso cui si armonizzano i desideri e le azioni di membri di una comunità, deve aumentare di pari passo con la gran responsabilità che questo comporta per una società civile. Correlare i nostri sentimenti e il nostro comportamento in modo da rendere compatibili tra loro la realizzazione dei fini e dei desideri di ognuno. Ed alla luce di questo concetto che dobbiamo sempre tenere presenti lo sviluppo della moralità e del ragionamento etico e le regole logiche che dobbiamo applicare alle argomentazioni etiche. Forse il terzo millennio può iniziare, dentro ognuno di noi, con quest’impegno. Lo auguro a tutti.
     

Autonomia didattica degli atenei 509/99


“Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei”.

Decreto MURST (Ministero dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica),
 03 novembre 1999, n. 509
Gazzetta Ufficiale n. 2 del 04 gennaio 1999
Ha imposto la graduale trasformazione dei Diplomi Universitari dell’area sanitaria in Lauree triennali di primo livello.
Ha stabilito la possibilità di rilasciare i seguenti titoli di primo e di secondo livello:
   Laurea (L);
   Laurea Specialistica (LS);
   Diploma di specializzazione (DS);
   Dottorato di Ricerca (DR).
ADOTTA
il seguente regolamento
Art. 1
Definizioni
b) per decreto o decreti ministeriali, uno o più decreti emanati ai sensi e secondo le procedure di cui
all'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127 e successive modificazioni;
c) per regolamenti didattici di ateneo, i regolamenti di cui all'articolo 11, comma 1, della legge 19 novembre 1990, n. 341;
d) per regolamenti didattici dei corsi di studio, i regolamenti di cui all'articolo 11, comma 2, della legge 19 novembre 1990, n. 341;
e) per corsi di studio, i corsi di laurea, di laurea specialistica e di specializzazione, come individuati nell'articolo 3;
f) per titoli di studio, la laurea, la laurea specialistica e il diploma di specializzazione rilasciati al termine dei corrispondenti corsi di studio, come individuati nell'articolo 3;
g) per classe di appartenenza di corsi di studio, l'insieme dei corsi di studio, comunque denominati, raggruppati ai sensi dell'articolo 4;
h) per settori scientifico-disciplinari, i raggruppamenti di discipline di cui al decreto ministeriale 23 giugno 1997, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 29 luglio 1997, e successive modifiche;
i) per ambito disciplinare, un insieme di settori scientifico-disciplinari culturalmente e professionalmente affini, definito dai decreti ministeriali;
l) per credito formativo universitario, la misura del volume di lavoro di apprendimento, compreso lo studio individuale, richiesto ad uno studente in possesso di adeguata preparazione iniziale per l'acquisizione di conoscenze ed abilità nelle attività formative previste dagli ordinamenti didattici dei corsi di studio;
m) per obiettivi formativi, l'insieme di conoscenze e abilità che caratterizzano il profilo culturale e professionale, al conseguimento delle quali il corso di studio è finalizzato;
n) per ordinamento didattico di un corso di studio, l'insieme delle norme che regolano i curricula del corso di studio, come specificato nell'articolo 11;
o) per attività formativa, ogni attività organizzata o prevista dalle università al fine di assicurare la formazione culturale e professionale degli studenti, con riferimento, tra l'altro, ai corsi di insegnamento, ai seminari, alle esercitazioni pratiche o di laboratorio, alle attività didattiche a piccoli gruppi, al tutorato, all'orientamento, ai tirocini, ai progetti, alle tesi, alle attività di studio individuale e di autoapprendimento;
p) per curriculum, l'insieme delle attività formative universitarie ed extrauniversitarie specificate nel regolamento didattico del corso di studio al fine del conseguimento del relativo titolo.
Art. 2
Finalità
1. Ai sensi dell'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127 e successive modificazioni e integrazioni, il presente regolamento detta disposizioni concernenti i criteri generali per l'ordinamento degli studi universitari e determina la tipologia dei titoli di studio rilasciati dalle università.
2. Ai fini della realizzazione dell'autonomia didattica di cui all'articolo 11 della legge 19 novembre 1990, n. 341, le università, con le procedure previste dalla legge e dagli statuti, disciplinano gli ordinamenti didattici dei propri corsi di studio in conformità con le disposizioni del presente regolamento e di successivi decreti ministeriali.
Art. 3
Titoli e corsi di studio
1. Le università rilasciano i seguenti titoli di primo e di secondo livello: a) laurea (L)
b) laurea specialistica (LS).
2. Le università rilasciano altresì il diploma di specializzazione (DS) e il dottorato di ricerca (DR).
3. La laurea, la laurea specialistica, il diploma di specializzazione e il dottorato di ricerca sono conseguiti al termine, rispettivamente, dei corsi di laurea, di laurea specialistica, di specializzazione e di dottorato di ricerca istituiti dalle università.
4. Il corso di laurea ha l'obiettivo di assicurare allo studente un'adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali, nonché l'acquisizione di specifiche conoscenze professionali.
5. Il corso di laurea specialistica ha l'obiettivo di fornire allo studente una formazione di livello avanzato per l'esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici.
6. Il corso di specializzazione ha l'obiettivo di fornire allo studente conoscenze e abilità per funzioni richieste nell'esercizio di particolari attività professionali e può essere istituito esclusivamente in applicazione di specifiche norme di legge o di direttive dell'Unione Europea.
7. I corsi di dottorato di ricerca e il conseguimento del relativo titolo sono disciplinati dall'articolo 4 della legge 3 luglio 1998, n. 210, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 6, commi 5 e 6.
8. Restano ferme le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 19 novembre 1990, n. 341, in materia di formazione finalizzata e di servizi didattici integrativi. In particolare, in attuazione dell'articolo 1, comma 15, della legge 14 gennaio 1999, n. 4, le università possono attivare, disciplinandoli nei regolamenti didattici di ateneo, corsi di perfezionamento scientifico e di alta formazione permanente e ricorrente, successivi al conseguimento della laurea o della laurea specialistica, alla conclusione dei quali sono rilasciati i master universitari di primo e di secondo livello.
9. Sulla base di apposite convenzioni, le università italiane possono rilasciare i titoli di cui al presente articolo, anche congiuntamente con altri atenei italiani o stranieri.
Art. 4
Classi di corsi di studio
1. I corsi di studio dello stesso livello, comunque denominati dagli atenei, aventi gli stessi obiettivi formativi qualificanti e le conseguenti attività formative indispensabili di cui all'articolo 10, comma 1, sono raggruppati in classi di appartenenza, nel seguito denominate classi.
2. Le classi sono individuate da uno o più decreti ministeriali. Trascorso un triennio dall'emanazione dei predetti decreti, modifiche o istituzioni di singole classi possono essere proposte dalle università e, sentito il CUN, determinate con decreto del Ministro unitamente alle connesse disposizioni in materia di obiettivi formativi qualificanti e di conseguenti attività formative.
3. I titoli conseguiti al termine dei corsi di studio dello stesso livello, appartenenti alla ste ssa classe, hanno identico valore legale.
Art. 5
Crediti formativi universitari
1. Al credito formativo universitario, di seguito denominato credito, corrispondono 25 ore di lavoro per studente; con decreto ministeriale si possono motivatamente determinare variazioni in aumento o in diminuzione delle predette ore per singole classi, entro il limite del 20 per cento.
2. La quantità media di lavoro di apprendimento svolto in un anno da uno studente impegnato a tempo pieno negli studi universitari è convenzionalmente fissata in 60 crediti.
3. I decreti ministeriali determinano, altresì, per ciascuna classe di corsi di studio la frazione dell'impegno orario complessivo che deve essere riservata allo studio personale o ad altre attività formative di tipo individuale. Tale frazione non può comunque essere inferiore a metà, salvo nel caso in cui siano previste attività formative ad elevato contenuto sperimentale o pratico.
4. I crediti corrispondenti a ciascuna attività formativa sono acquisiti dallo studente con il superamento dell'esame o di altra forma di verifica del profitto, fermo restando che la valutazione del profitto è effettuata con le modalità di cui all'articolo 11, comma 7, lettera d).
5. Il riconoscimento totale o parziale dei crediti acquisiti da uno studente ai fini della prosecuzione degli studi in altro corso della stessa università ovvero nello stesso o altro corso di altra università, compete alla struttura didattica che accoglie lo studente, con procedure e criteri predeterminati stabiliti nel regolamento didattico di ateneo.
6. I regolamenti didattici di ateneo possono prevedere forme di verifica periodica dei crediti acquisiti, al fine di valutarne la non obsolescenza dei contenuti conoscitivi, e il numero minimo di crediti da acquisire da parte dello studente in tempi determinati, diversificato per studenti impegnati a tempo pieno negli studi universitari o contestualmente impegnati in attività lavorative.
7. Le università possono riconoscere come crediti formativi universitari, secondo criteri predeterminati, le conoscenze e abilità professionali certificate ai sensi della normativa vigente in materia, nonché altre conoscenze e abilità maturate in attività formative di livello postsecondario alla cui progettazione e realizzazione l'università abbia concorso.
Art. 6
Requisiti di ammissione ai corsi di studio
1. Per essere ammessi ad un corso di laurea occorre essere in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore o di altro titolo di studio conseguito all'estero, riconosciuto idoneo. I regolamenti didattici di ateneo, ferme restando le attività di orientamento, coordinate e svolte ai sensi dell'articolo 11, comma 7, lettera g), richiedono altresì il possesso o l'acquisizione di un'adeguata preparazione iniziale. A tal fine gli stessi regolamenti didattici definiscono le conoscenze richieste per l'accesso e ne determinano, ove necessario, le modalità di verifica, anche a conclusione di attività formative propedeutiche, svolte eventualmente in collaborazione con istituti di istruzione secondaria superiore. Se la verifica non è positiva vengono indicati specifici obblighi formativi aggiuntivi da soddisfare nel primo anno di corso. Tali obblighi formativi aggiuntivi sono assegnati anche agli studenti dei corsi di laurea ad accesso programmato che siano stati ammessi ai corsi con una votazione inferiore ad una prefissata votazione minima.
2. Per essere ammessi ad un corso di laurea specialistica occorre essere in possesso della laurea, ovvero di altro titolo di studio conseguito all'estero, riconosciuto idoneo. Nel caso di corsi di laurea specialistica per i quali non sia previsto il numero programmato dalla normativa vigente in materia di accessi ai corsi universitari, occorre, altresì, il possesso di requisiti curriculari e l'adeguatezza della personale preparazione verificata dagli atenei.
3. In deroga al comma 2, i decreti ministeriali possono prevedere l'ammissione ad un corso di laurea specialistica con il possesso del diploma di scuola secondaria superiore, esclusivamente per corsi di studio regolati da normative dell'Unione Europea che non prevedano, per tali corsi, titoli universitari di primo livello, fatta salva la verifica dell'adeguata preparazione iniziale di cui al comma 1.
4. Per essere ammessi ad un corso di specializzazione occorre essere in possesso almeno della laurea, ovvero di altro titolo di studio conseguito all'estero, riconosciuto idoneo. Nel rispetto delle norme e delle direttive di cui all'articolo 3, comma 6, i decreti ministeriali stabiliscono gli specifici requisiti di ammissione ad un corso di specializzazione, ivi compresi gli eventuali crediti formativi universitari aggiuntivi rispetto al titolo di studio già conseguito, purché nei limiti previsti dall'articolo 7, comma 3.
5. Per essere ammessi ad un corso di dottorato di ricerca occorre essere in possesso della laurea specialistica ovvero di altro titolo di studio conseguito all'estero e riconosciuto idoneo.
6. Il riconoscimento dell'idoneità dei titoli di studio conseguiti all'estero ai soli fini dell'ammissione a corsi di studio e di dottorato di ricerca è deliberata dall'università interessata, nel rispetto degli accordi internazionali vigenti
Art. 7
Conseguimento dei titoli di studio
1. Per conseguire la laurea lo studente deve aver acquisito 180 crediti, comprensivi di quelli relativi alla conoscenza obbligatoria di una lingua dell'Unione Europea oltre l'italiano, fatte salve le norme speciali per la tutela delle minoranze linguistiche. La conoscenza deve essere verificata, secondo modalità stabilite dai regolamenti didattici di ateneo, con riferimento ai livelli richiesti per ogni lingua.
2. Per conseguire la laurea specialistica lo studente deve aver acquisito 300 crediti, ivi compresi quelli già acquisiti dallo studente e riconosciuti validi per il relativo corso di laurea specialistica.
3. I decreti ministeriali determinano il numero di crediti che lo studente deve aver acquisito per conseguire il diploma di specializzazione. Tale numero deve essere compreso tra 300 e 360 crediti, ivi compresi quelli già acquisiti dallo studente e riconosciuti validi per il relativo corso di specializzazione. Sono fatte salve le diverse disposizioni previste da specifiche norme di legge o da direttive dell'Unione Europea.
4. Per conseguire il master universitario lo studente deve aver acquisito almeno sessanta crediti oltre a quelli acquisiti per conseguire la laurea o laurea specialistica
Art. 8
Durata normale dei corsi di studio
1. Per ogni corso di studio è definita una durata normale in anni, proporzionale al numero totale di crediti di cui all'articolo 7, tenendo conto che ad un anno corrispondono sessanta crediti ai sensi del comma 2 dell'articolo 5.
2. La durata normale dei corsi di laurea è di tre anni; la durata normale dei corsi di laurea specialistica è di ulteriori due anni dopo la laurea.
Art. 9
Istituzione e attivazione dei corsi di studio
1. La procedura per l'istituzione dei corsi di studio è disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 1998, n. 25.
2. Con autonome deliberazioni le università attivano o disattivano i corsi di studio istituiti ai sensi del comma 1, dandone comunicazione al Ministero. Nel caso di disattivazioni, le università assicurano comunque la possibilità per gli studenti già iscritti di concludere gli studi conseguendo il relativo titolo e disciplinano la facoltà per gli studenti di optare per l'iscrizione ad altri corsi di studio attivati.
3. Una università può istituire un corso di laurea specialistica a condizione di aver attivato un corso di laurea comprendente almeno un curriculum i cui crediti formativi universitari siano integralmente riconosciuti per il corso di laurea specialistica, con l'eccezione dei corsi di cui all'articolo 6, comma 3. Sulla base di una specifica convenzione tra gli atenei interessati, il corso di laurea può essere attivato presso un'altra università.
4. All'atto dell'istituzione di un corso di laurea, l'ordinamento didattico stabilisce quali crediti acquisiti saranno riconosciuti validi per l'eventuale prosecuzione degli studi universitari in altri corsi di studio attivati presso la medesima università, nonché, sulla base di specifiche convenzioni, presso altre università.
Art. 10
Obiettivi e attività formative qualificanti delle classi
1. I decreti ministeriali individuano preliminarmente, per ogni classe di corsi di studio, gli obiettivi formativi qualificanti e le attività formative indispensabili per conseguirli, raggruppandole in sei tipologie:
a) attività formative in uno o più ambiti disciplinari relativi alla formazione di base; b) attività formative in uno o più ambiti disciplinari caratterizzanti la classe;
c) attività formative in uno o più ambiti disciplinari affini o integrativi di quelli caratterizzanti, con particolare riguardo alle culture di contesto e alla formazione interdisciplinare;
d) attività formative autonomamente scelte dallo studente;
e) attività formative relative alla preparazione della prova finale per il conseguimento del titolo di studio e, con riferimento alla laurea, alla verifica della conoscenza della lingua straniera ;
f) attività formative, non previste dalle lettere precedenti, volte ad acquisire ulteriori conoscenze linguistiche, nonché abilità informatiche e telematiche, relazionali, o comunque utili per l'inserimento nel mondo del lavoro, nonché attività formative volte ad agevolare le scelte professionali, mediante la conoscenza diretta del settore lavorativo cui il titolo di studio può dare accesso, tra cui, in particolare, i tirocini formativi e di orientamento di cui al decreto del Ministero del Lavoro 25 marzo 1998, n. 142.
2. I decreti ministeriali determinano altresì, per ciascuna classe, il numero minimo di crediti che gli ordinamenti didattici riservano ad ogni attività formativa e ad ogni ambito disciplinare di cui al comma 1, rispettando i seguenti vincoli percentuali sul totale dei crediti necessari per conseguire il titolo di studio:
a) la somma totale dei crediti riservati non potrà essere superiore al 66 per cento;
b) le somme dei crediti riservati, relativi alle attività di cui alle lettere a), b), c) e alle lettere d), e), f) del comma 1 non potranno essere superiori, rispettivamente, al 50 per cento e al 20 per cento;
c) i crediti riservati, relativi alle attività di ognuna delle tipologie di cui alle lettere a), b), c) e d), e), f) del comma 1 non potranno essere inferiori, rispettivamente, al 10 e al 5 per cento.
Art. 11
Regolamenti didattici di ateneo
1. Le università disciplinano gli ordinamenti didattici dei propri corsi di studio nei regolamenti didattici di ateneo che sono redatti nel rispetto, per ogni corso di studio, delle disposizioni del presente regolamento e di successivi decreti ministeriali, e che sono approvati dal Ministro ai sensi dell'articolo 11, comma 1, della legge 19 novembre 1990, n. 341.
2. I regolamenti didattici di ateneo e le relative modifiche sono emanati con decreto rettorale e sono resi noti anche con le modalità di cui all'articolo 17, comma 95, lettera b), della legge 15 maggio 1997, n. 127. L'entrata in vigore degli ordinamenti didattici è stabilita nel decreto rettorale di emanazione.
3. Ogni ordinamento didattico determina:
a) le denominazioni e gli obiettivi formativi dei corsi di studio, indicando le relative classi di appartenenza;
b) il quadro generale delle attività formative da inserire nei curricula;
c) i crediti assegnati a ciascuna attività formativa, riferendoli, per quanto riguarda quelle previste nelle lettere a), b), c) dell'articolo 10, comma 1, ad uno o più settori scientifico-disciplinari nel loro complesso;
d) le caratteristiche della prova finale per il conseguimento del titolo di studio.
4. Le determinazioni di cui al comma 3, lettere a) e b), sono assunte dalle università previa consultazione con le organizzazioni rappresentative a livello locale del mondo della produzione, dei servizi e delle professioni.
5. Per il conseguimento della laurea specialistica deve comunque essere prevista la presentazione di una tesi elaborata in modo originale dallo studente sotto la guida di un relatore.
6. Il regolamento didattico di ateneo può prevedere più corsi di studio appartenenti alla medesima classe.
7. I regolamenti didattici di ateneo, nel rispetto degli statuti, disciplinano altresì gli aspetti di organizzazione dell'attività didattica comuni ai corsi di studio, con particolare riferimento:
a) agli obiettivi, ai tempi e ai modi con cui le competenti strutture didattiche provvedono collegialmente alla programmazione, al coordinamento e alla verifica dei risultati delle attività formative;
b) alle procedure di attribuzione dei compiti didattici annuali ai professori e ai ricercatori universitari, ivi comprese le attività didattiche integrative, di orientamento e di tutorato;
c) alle procedure per lo svolgimento degli esami e delle altre verifiche di profitto, nonché della prova finale per il conseguimento del titolo di studio;
d) alle modalità con cui si perviene alla valutazione del profitto individuale dello studente, che deve comunque essere espressa mediante una votazione in trentesimi per gli esami e in centodecimi per la prova finale, con eventuale lode;
e) alla valutazione della preparazione iniziale degli studenti che accedono ai corsi di laurea e ai corsi di laurea specialistica;
f) all'organizzazione di attività formative propedeutiche alla valutazione della preparazione iniziale degli studenti che accedono ai corsi di laurea, nonché di quelle relative agli obblighi formativi aggiuntivi di cui al comma 1 dell'articolo 6;
g) all'introduzione di un servizio di ateneo per il coordinamento delle attività di orientamento, da svolgere in collaborazione con gli istituti d'istruzione secondaria superiore, nonché in ogni corso di studio, di un servizio di tutorato per gli studenti;
h) all'eventuale introduzione di apposite modalità organizzative delle attività formative per studenti non impegnati a tempo pieno;
i) alle modalità di individuazione, per ogni attività, della struttura o della singola persona che ne assume la responsabilità;
l) alla valutazione della qualità delle attività svolte;
m) alle forme di pubblicità dei procedimenti e delle decisioni assunte;
n) alle modalità per il rilascio dei titoli congiunti di cui all'articolo 3, comma 9.
8. I regolamenti didattici di ateneo disciplinano le modalità con cui le università rilasciano, come supplemento al diploma di ogni titolo di studio, un certificato che riporta, secondo modelli conformi a quelli adottati dai paesi europei, le principali indicazioni relative al curriculum specifico seguito dallo studente per conseguire il titolo.
9. Le università, con appositi regolamenti, riordinano e disciplinano le procedure amministrative relative alle carriere degli studenti in accordo con le disposizioni del presente regolamento, di successivi decreti ministeriali e dei regolamenti didattici di ateneo. Per l'elaborazione di valutazioni statistiche omogenee sulle carriere degli studenti universitari, il Ministro, con propri decreti, individua i dati essenziali che devono essere presenti nei sistemi informativi sulle carriere degli studenti di tutte le università.
Art. 12
Regolamenti didattici dei corsi di studio
1. In base all'articolo 11, comma 2, della legge 19 novembre 1990, n. 341, il regolamento didattico di un corso di studio, deliberato dalla competente struttura didattica in conformità con l'ordinamento didattico nel rispetto della libertà d'insegnamento, nonché dei diritti e doveri dei docenti e degli studenti, specifica gli aspetti organizzativi del corso di studio. Il regolamento è approvato con le procedure previste nello statuto dell'ateneo.
2. Il regolamento didattico di un corso di studio determina in particolare:
a) l'elenco degli insegnamenti, con l'indicazione dei settori scientifico-disciplinari di riferimento e dell'eventuale articolazione in moduli, nonché delle altre attività formative;
b) gli obiettivi formativi specifici, i crediti e le eventuali propedeuticità di ogni insegnamento e di ogni altra attività formativa;
c) i curricula offerti agli studenti e le regole di presentazione, ove necessario, dei piani di studio individuali; d) la tipologia delle forme didattiche, anche a distanza, degli esami e delle altre verifiche del profitto degli
studenti;
e) le disposizioni sugli eventuali obblighi di frequenza.
3. Le disposizioni dei regolamenti didattici dei corsi di studio concernenti la coerenza tra i crediti assegnati alle attività formative e gli specifici obiettivi formativi programmati sono deliberate dalle competenti strutture didattiche, previo parere favorevole di commissioni didattiche paritetiche o di altre analoghe strutture di rappresentanza studentesca. Qualora il parere non sia favorevole la deliberazione è assunta dal senato accademico. Il parere è reso entro trenta giorni dalla richiesta. Decorso inutilmente tale termine la deliberazione è adottata prescindendosi dal parere.
4. Le università assicurano la periodica revisione dei regolamenti didattici dei corsi di studio, in particolare per quanto riguarda il numero dei crediti assegnati ad ogni insegnamento o altra attività formativa.
Art. 13
Norme transitorie e finali
1. Le università adeguano gli ordinamenti didattici dei propri corsi di studio alle disposizioni del presente regolamento e del decreto ministeriale che individua le classi relative ai predetti corsi entro diciotto mesi dalla pubblicazione del medesimo decreto sulla Gazzetta Ufficiale.
2. Le università assicurano la conclusione dei corsi di studio e il rilascio dei relativi titoli, secondo gli ordinamenti didattici vigenti, agli studenti già iscritti alla data di entrata in vigore dei nuovi ordinamenti didattici e disciplinano altresì la facoltà per gli studenti di optare per l'iscrizione a corsi di studio con i nuovi ordinamenti. Ai fini dell'opzione le università riformulano in termini di crediti gli ordinamenti didattici vigenti e le carriere degli studenti già iscritti.
3. Gli studi compiuti per conseguire i diplomi universitari in base ai previgenti ordinamenti didattici sono valutati in crediti e riconosciuti dalle università per il conseguimento della laurea di cui all'articolo 3, comma 1. La stessa norma si applica agli studi compiuti per conseguire i diplomi delle scuole dirette a fini speciali istituite presso le università, qualunque ne sia la durata.
4. L'istituzione da parte di un'università dei corsi di laurea e di laurea specialistica di cui all'articolo 3, comma 1, aventi la stessa denominazione di corsi di diploma universitario o di laurea già attivati nell'anno accademico 1996/97, ovvero istituiti dalle università ai sensi dell'articolo 2, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 1998, n. 25, costituisce attuazione dell'obiettivo del sistema universitario per il triennio 1998/2000 di cui all'articolo 1, comma 1, lettera d) del decreto ministeriale 6 marzo 1998, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 83 del 9 aprile 1998, e non comporta il ricorso alla procedura di cui all'articolo 9, comma 1.
5. Ai sensi dell'articolo 17, comma 101, della legge 15 maggio 1997, n. 127, come modificato dall'articolo 1, comma 15, lettera b), della legge 14 gennaio 1999, n. 4, la disposizione di cui al comma 4 si applica altresì ai corsi di diploma universitario o di laurea attivati sperimentalmente dalle università negli anni accademici 1997/98 e 1998/99, purché risulti acquisito il parere favorevole del comitato regionale di coordinamento.
6. Fatte salve le scuole presso le quali sono attivati i corsi di specializzazione di cui all'articolo 3, comma 6, le scuole di specializzazione attualmente istituite sono disattivate entro il terzo anno accademico successivo a quello di entrata in vigore del presente regolamento. La relativa formazione specialistica è assicurata da corsi di laurea specialistica o di dottorato di ricerca, nonché dai corsi di formazione finalizzata e integrativa di cui all'articolo 3, comma 8.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica Italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.