Esercizio abusivo della professione – commistione tra attività
22. È
priva di fondamento la doglianza articolata dal ricorrente, il quale pur
ammettendo espressamente di conoscere la situazione legislativa vigente, che
regola l’accesso e la prosecuzione nell’esercizio delle attività
tecnico-sanitarie, giustifica l’abusivo esercizio della professione d’igienista
dentale da parte della propria assistente argomentando in merito alla maturata
esperienza pluridecennale di costei nello svolgimento dell’attività, nonché
circa la mancata ricomprensione delle mansioni svolte nel novero di quelle
riservate alla professione di igienista. Al riguardo, in conformità al disposto
della legge n. 43/2006, e delle precedenti disposizioni dettate dalla legge n.
251/2000 e dal D.M. 29 marzo 2001 del Ministro della salute, non si può non riconoscere
alla legge il potere di determinare i presupposti necessari e sufficienti ad
acquisire una qualifica o un inquadramento professionale, soprattutto
nell’ambito particolarmente delicato della sanità (n.
65 del 6 dicembre).
Esercizio abusivo della professione – riconoscimento di titoli stranieri
25. Ai
fini della sussistenza dell’illecito di favoreggiamento dell’esercizio abusivo
della professione da parte di un odontoiatra nei confronti del figlio che
operava nel proprio studio, è irrilevante l’intervenuto riconoscimento del
titolo di studio conseguito dal figlio in un Paese non comunitario (l’Ecuador),
con il quale l’Italia ha stipulato un accordo internazionale che stabilisce un
processo automatico di riconoscimento.
Infatti,
la disciplina relativa al riconoscimento dei titoli accademici è oggi regolata
dal DPR 31 agosto 1999, n. 394, recante, all’art. 50, disposizioni particolari
per gli esercenti le professioni sanitarie; in particolare, il comma ottavo
della citata disposizione statuisce che “la dichiarazione di equipollenza dei
titoli accademici nelle discipline sanitarie, conseguiti all’estero, e
l’ammissione ai corrispondenti esami di diploma, di laurea o di abilitazione,
con dispensa totale o parziale
degli esami di profitto, sono disposte previo accertamento del rispetto delle
quote previste per ciascuna professione dall’art. 3, comma 4, del testo unico,
a tal fine deve essere acquisito il preventivo parere del Ministero della
Salute, il parere negativo non consente l’iscrizione agli albi professionali o
agli elenchi speciali per l’esercizio delle relative professioni sul territorio
nazionale e dei Paesi dell’Unione Europea”.
Le
norme sopravvenute, adottate a seguito dell’armonizzazione con la normativa
comunitaria vigente in materia (direttiva 2005/36/CE, recepita dal d. lgs. n.
206/2007), fanno quindi ritenere superate le singole pattuizioni fra Stati,
essendo ormai entrata in vigore una disciplina generale ed assorbente, mirata
ad uniformare il trattamento delle persone nella libera circolazione fra Stati.
Contestualmente, detta disciplina istituisce un procedimento volto
all’approfondito accertamento delle competenze in un ambito così delicato quale
quello sanitario. Pertanto, se ai sensi dell’art. 1, comma 3, della L. n.
175/1992, è sancito il principio secondo cui “è vietato l’uso di titoli,
compresi quelli di specializzazione conseguiti all’estero, se non riconosciuti
in Italia”, ne deriva l’illegittimo esercizio della professione da parte del
figlio del sanitario, con conseguente responsabilità dello stesso padre, ex
art.
8, comma uno, della legge 175/1992, per averne consentito e agevolato l’abusivo
esercizio (n. 65 del 6 dicembre).
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