Dopo lo spazio
dedicato alla principale voce critica sul comma 566 della Legge di Stabilità
2015, prof. Ivan
Cavicchi (Clicca), pubblichiamo un prezioso contributo, sullo stesso
argomento ma di parere opposto, del Dott. Francesco Saverio Proia alto
dirigente del Ministero della Salute. Il Dott. Proia, da anni impegnato
nello studio e nella definizione delle organizzazioni sanitarie, ha lavorato
lungamente sul tema delle “Competenze avanzate” ed è stato
ideatore e convinto sostenitore della “Cabina di regia” delle
professioni sanitarie, al centro della riforma del sistema sanitario nazionale.
Com'è noto, la Cabina di regia andrà a costituire uno degli strumenti
attraverso il quale il comma 566 dovrebbe produrre i frutti
dell’auspicato miglioramento organizzativo e professionale anche per gli
infermieri.
Da tempo al Ministero
si pensava a questo progetto e, finalmente, grazie all’impegno e al contributo
fondamentale del Dott. Proia i primi atti concreti hanno visto
la luce.
Dott.
Francesco Saverio Proia alto dirigente del Ministero della Salute L’ormai mitico comma 566, con poche parole
ha legiferato in materia di competenze avanzate e specialistiche delle 22 professioni sanitarie
infermieristiche-ostetrica, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione,
l’altra metà del cielo dell’universo sanità, oltre 600.000 produttori di
salute: ora che altro si inventeranno gli avversari per bloccare un processo di
innovazione nell’organizzazione del lavoro sanitario funzionale per meglio
garantire il diritto alla salute e non per contrapporre corporazioni
professionali a corporazioni?
E’ palese che siamo in
presenza di un ulteriore capitolo di quella straordinaria avventura
della riforma delle professioni sanitarie che ho avuto la fortuna, il
coraggio e la tenacia di aver contribuito alla sua elaborazione, alla sua
definizione, alla sua approvazione e alla attuazione ed alla manutenzione con
diversi ruoli in progressione: dirigente sindacale, consulente dei gruppi
parlamentari, consigliere per le professioni sanitarie nei Governi Prodi 1 e 2,
Amato e D’Alema, dirigente ASL, esperto in materia delle Regioni, consulente
dell’Assessore alla Sanità della Regione Lazio, sino a dirigente al Ministero
della Salute con il compito di curare per il Gabinetto e la competente
Direzione Generale le problematiche delle professioni sanitarie e del personale
del Servizio Sanitario Nazionale.
La riforma delle
professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, tecniche riabilitative che
ha mutato e sta mutando l’organizzazione del lavoro in sanità e ha realizzato la
più profonda trasformazione negli assetti professionali mai realizzata in
Italia e non solo, è stata un’entusiasmante vicenda durata oltre un
quarto di secolo nella quale il sogno è divenuto realtà, l’impossibile
possibile.
Ora si è in presenza
di questo passaggio fondamentale: l’implementazione delle competenze
delle professioni sanitarie anche attraverso l’affidamento ad esse di
competenze di cui sono attualmente titolari le professioni mediche, senza che
venga meno la loro titolarità.
Si è di fronte ad un
fase non solo fondamentale ma anche epocale: si affronta, finalmente, la spendibilità
dell’enorme potenziale formativo ed ordinamentale, peraltro in parte ancora
inespresso, di queste professioni ridisegnando il loro rapporto con le
professioni mediche aggredendo un tabù considerato inviolabile in certa cultura
professionale, cioè l’atto medico.
Da tempo in Italia si
è esaminato come queste professioni sanitarie possono essere
valorizzate esaltando la loro autonomia e competenza all’interno di quelle che
tradizionalmente era il loro agire professionale ma mai si è
affrontato in forma organica e pianificata il problema di come si possa
affidare loro competenze svolte da personale medico: si è discettato come
meglio far navigare i vascelli delle 22 professioni sanitarie all’interno del
“mare nostrum” ed ora si vuol provare a far navigarle oltre le colonne d’Ercole
nell’Oceano delle competenze mediche.
L’implementazione
delle competenze delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della
riabilitazione, della prevenzione nonché della professione di ostetrica è
emersa come una necessità strategica per lo stesso sistema sanitario
nazionale attraverso un convinto e approfondito dibattito e
ragionamento sviluppato all’interno delle componenti più avanzate della
categoria medica, fatto proprio e sviluppato poi dalle Regioni e dal Ministero
della Salute e divenuto patrimonio del sindacato del comparto sanità e dalle
rappresentanze professionali.
La prima
motivazione di tale scelta strategica è stata ed è il previsto calo
fisiologico della presenza attiva dei medici nel mercato del lavoro sanitario
nei prossimi anni tale da prevedere una diminuzione della disponibilità di
medici nel nostro Paese.
Tale previsione è
stata riportata nella proposta di Piano sanitario nazionale 2011-2013: a
partire dal 2012 è previsto un saldo negativo fra entrate e uscite con tendenza
al progressivo allargamento della forbice negli anni a seguire; la stima parla
di una carenza di 18.000-22.000 medici entro il 2018, passando da
3,7 medici attivi per 1.000 ab. a 3,5 (la media europea e di
3,1 medici attivi per 1.000 ab.).
E’ evidente, però, che
non si è in presenza di un’emergenza medica in quanto non esiste un rischio per
il SSN se entro il 2018 avremo 3,5 medici ogni 1.000 ab., quando la
media europea e di 3,1; quella che si prospetta all’orizzonte non è quindi
una reale carenza, bensì il fatto che l’attuale organizzazione sanitaria deriva
da quella impostata quando il problema era inverso, ovvero da
quando si era in presenza di un’anomalia del sistema la cosiddetta pletora
medica.
Si è, pertanto,
sviluppata un’eccessiva medicalizzazione dell’organizzazione del lavoro
affidando ai medici competenze che nel resto d’Europa ed oltre svolgono
altri professionisti della salute, diversi dai medici; si è così
determinata una situazione nelle quali l’apporto dei medici in determinate
attività non ha portato un reale valore aggiunto.
Alcuni esempi possono
aiutare a sostanziare la questione:
·
per
partorire per via naturale oggi è richiesta la presenza del medico; di norma
potrebbe bastare l’ostetrica;
·
per
certificare l’abitabilità di un edificio o la sicurezza di un’impresa serve il
medico; sarebbe sufficiente un tecnico della prevenzione;
·
per
fare le vaccinazioni deve esserci il medico; basterebbe l’assistente sanitaria;
·
la
gestione dei controlli routinari della cronicità è affidata a medici
specialisti in svariate discipline; potrebbe essere svolta da infermieri
opportunamente formati che riferiscono al medico i soli casi di scostamento
dalla normalità;
·
la
cronicità psichiatrica potrebbe essere gestita valorizzando i contenuti
professionali degli psicologi, degli infermieri dei tecnici della
riabilitazione psichiatrica, degli educatori professionali;
·
in
emergenza ed in area critica alcune funzioni quali la gestione di alcune
patologie o infortuni minori da codice bianco, alcune operazioni salvavita in
ambulanza, l’assistenza in anestesia, potrebbero essere svolte da infermieri ad
hoc formati e sulla base di protocolli concordati con i medici;
·
l’ospedale
per intensità di cura potrebbe dar corso a forme più razionali della attività
di guardia notturna e festiva del medico con una diversa integrazione
professionale con gli infermieri in turno.
Si potrebbe continuare
a lungo con esempi di questo tipo che, invece che essere accettati come
modalità immodificabili di erogazione delle attività, andrebbero visti come
situazioni sulle quali sarebbe opportuno sviluppare fare degli approfondimenti
con le diverse componenti professionali, ovviamente compresa quella medica.
E’ evidente che la
contrazione della presenza medica nel SSN non può essere affrontata se non
intervenendo sull’organizzazione, alla luce dei livelli di istruzione e
formazione raggiunti dalle altre professioni sanitarie: si tenga anche conto
che i costi formativi fra medici e altri professionisti della salute
sono molto diversi, e non solo per la questione delle borse di studio
legate alla specializzazione.
La proposta del
Ministero della Salute e delle Regioni
All’orizzonte, quindi,
si prospetta un cambiamento epocale che deve essere
opportunamente accompagnato, anche per poter superare prassi esistenti e
vincoli normativi che oggi obbligano ad avvalersi dei medici anche per attività
che potrebbero essere gestite da altre figure professionali, senza che
si debba loro far correre il rischio di incorrere in situazioni di abuso della
professione medica.
Per questo, su
indicazione dell’allora Ministro alla Salute, prof.
Ferruccio Fazio, si è voluto partire con il piede giusto,
integrando, su proposta comune del Direttore della Programmazione sanitaria e
di quello delle Professioni sanitarie il capitolo del Piano sanitario nazionale
2011-013 relativo alle risorse umane, un ulteriore punto per la ridefinizione
delle funzioni del personale sanitario alla luce delle nuove competenze
e abilità acquisite dalle diverse professioni sanitarie, definendo allo stesso
tempo il problema e la soluzione.
La proposta di PSN,
compresa la sopraddetta integrazione, fu approvata sia dal Parlamento che dalla
Conferenza Stato – Regioni; la frase inserita recitava così:
“Anche l’assunzione di nuovi compiti da
parte delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, tecniche, della
riabilitazione e della prevenzione, fenomeno già in atto nel nostro come (in
forma ancora più evidente) in altri Paesi europei, contribuirà ad un minore
fabbisogno di medici”
Nel frattempo in
Toscana su proposta della Società scientifica regionale di medicina d’urgenza
con la condivisione di tutti gli Ordini provinciali dei medici, escluso quello
di Lucca, fu avviata la riorganizzazione dei DEA con il metodo SEE AND
TREAT con cui fu prevista la gestione dei codici bianchi anche
da parte di infermieri allo scopo formati e sulla base di protocolli
concordati con i medici, nonché l’Ambulanza Infermieristica (c.d.
India) con la previsione che l’infermiere possa svolgere operazioni
salvavita.
Questa scelta fu
oggetto di una denuncia per esercizio abusivo della professione medica alla
Procura di Repubblica di Firenze da parte dell’Ordine Provinciale dei medici di
Bologna che, dopo aver acquisito i pareri del Ministero della Salute, della
Regione Toscana, dell’Ordine dei Medici di Firenze e dell’IPASVI, archiviò
la denuncia non riscontrando alcun reato né alcuna illegittimità e questo già
potrebbe bastare per condividere la giustezza e la correttezza della proposta
di accordo sulle competenze avanzate degli infermieri: infatti per la
Magistratura non esiste alcun reato di esercizio di abuso della professione
medica né deve essere prevista alcuna ulteriore legge per prevedere ulteriori
competenze avanzate e specialistiche agli infermieri, essendo sufficienti le
attuali norme.
Nel frattempo analoghe
forme di sperimentazioni di competenze avanzate furono avviate in Emilia
Romagna, in Puglia, in Veneto, sempre su proposta delle competenze più
avanzate della professione medica, valga per tutti l’esemplare documento del Collegio
dei Primari di anestesia e rianimazione del Triveneto (Clicca) che
ha magnificamente descritto la necessità, anche in Italia della partecipazione
dell’infermiere al trattamento peri-operatorio.
Al fine di governare
in forma organica tale processo di innovazione le Regioni chiesero al Ministero
della Salute l’istituzione di uno specifico tavolo tecnico per
l’implementazione delle competenze avanzate delle professioni sanitarie e
l’attivazione delle specializzazioni previste dall’articolo 6 delle
legge n. 43/06.
Dopo quasi due anni di
intenso lavoro e di confronto con tutte le
rappresentanze professionali e sindacali, si è giunti a due prime
proposte una riguardante le professioni infermieristiche e l’altra riguardante
la professione di tecnico di radiologia medica.
Quest’ultima, cioè
quella del TSRM, più completa di quella dell’infermiere in quanto sono già
previste le competenze specialistiche, per il resto è analoga all’altra, è
stata condivisa ed esaltata da tutte le componenti mediche e fisiche dell’area
radiologica, al contrario la proposta sulle competenze avanzate dell’infermiere, dopo
un’iniziale condivisione della FNOMECO e dei stessi sindacati della dirigenza
medica e sanitaria, hanno mutato l’iniziale posizione positiva affermando
di non poterla più condividere esponendo motivazioni basate su
posizioni di mera difesa acritica delle competenze mediche, mai messe
in discussione dalla stessa proposta di accordo degli infermieri che
più che entrare realmente nel merito.
Per affrontare e
risolvere il disagio reale e a quello avvertito dei medici una prima risposta,
apprezzata ed accolta entusiasticamente dai sindacati della dirigenza e da
quelli del comparto, è stata quella della proposta di
“Cabina di regia” che è stata solennemente ratificata il 13 novembre 2014
(Clicca) da uno specifico Accordo Stato-Regioni, con cui
l’innovazione può essere governata e promossa con la partecipazione ed il
consenso di tutti: è evidente che l’accordo sulle competenze avanzate e
quello sulla cabina di regia sono tra loro interconnessi ed interagenti.
Infatti il progetto
delle competenze avanzate non solo è stato acquisito come una scelta, convinta
e partecipata, strategica del sindacato confederale e di categoria per innovare
l’organizzazione del lavoro sanitario, ma ormai è vissuto da parte larga degli
infermieri e delle altre loro professioni sanitarie come un obiettivo
da raggiungere, senza se e senza ma, quale naturale evoluzione della loro formazione
universitaria e dell’essere divenuta una professione autonoma e liberale,
ma soprattutto dalla consapevolezza che quanto proposto nel nostro Paese è
realtà, perlopiù con più incisività, da molti decenni in quasi tutti gli altri
Stati europei ed extraeuropee.
Come si può vedere
dall’esame della stampa di quel periodo analoghi argomenti furono utilizzati
dalle stesse sigle sindacali mediche vent’anni fa quando furono varati i
decreti istitutivi dei nuovi profili professionali dell’infermiere e delle altre
professioni sanitarie, emanati addirittura con il parere contrario di larga
parte del Consiglio Superiore dei Sanità, ma l’Esecutivo di allora, convinto
che quest’innovazione era richiesta e condivisa da parte larga della
stessa categoria medica varò il provvedimento che avviò la riforma
delle professioni sanitarie completata dalle leggi (42/99, 251/00 e 43/06)
votate all’unanimità dal Parlamento; con quell’iniziale provvedimento fu
possibile affidare agli infermieri competenze del medico (flebo, endovena,
catetere maschile...) che di fatto venivano da loro svolti e che da allora lo
divenivano anche di diritto; quindi siamo in presenza di una ripresa
del cammino di allora, per troppo tempo, colpevolmente, interrotto.
Analogamente si
tratterebbe per le attuali competenze avanzate, funzioni che in parte nella
prassi vengono svolte dall’infermiere in accordo con il medico e con questo
provvedimento verrebbero normate, regolando le procedure condivise e
partecipate: funzioni che per non sminuirle ma per inquadrare
correttamente il fenomeno, non investono né riguardano quelle complesse ed
elevate proprie della formazione medica ultradecennale, bensì quelle competenze
che per l’attuale formazione universitaria e, del caso, anche con una
formazione complementare e/o specialistica, il laureato in infermieristica
possa svolgere sulla base di protocolli concordati, con enorme e
qualificato vantaggio per chi usufruisca di quelle prestazioni sanitarie, senza
che ciò costituisca né esercizio abusivo della professione medica né esproprio
di competenze che rimangono del medico, ma che anche dall’infermiere possano
essere svolte, sulla base delle procedure sopradescritte.
Nel merito delle
obiezioni di parte del sindacalismo medico appare opportuno ricordare che
l’attuale testo, rispetto al precedente che aveva la pretesa di definire tutto,
metodo e competenze centralmente, nella sua semplicità e democraticità è
quantomeno innovativo e discontinuo: la proposta di Accordo definisce il metodo
ed il percorso successivo; il metodo è quello per il quale la politica
attraverso le scelte di programmazione sanitaria nazionale e regionale indica
le aree nelle quali si voglia implementare le competenze delle professioni
sanitarie e le modalità attuative (protocolli, formazione ulteriore, se
necessaria, etc.) sono affidati alla scelta vincolante e vincolata dell’intesa
tra le rappresentanze delle professioni interessate (nel caso specifico medici
ed infermieri).
Quindi nessuna
prevaricazione o attentato di lesa maestà medica, esattamente
il contrario in quanto la finalità e l’origine di tale scelta è
soprattutto quella di meglio organizzare, qualificare ed esaltare non
solo il tempo di lavoro medico ma lo stesso ruolo del medico che da
questa riorganizzazione del lavoro sanitario ritrova la sua collocazione
adeguata alla sua funzione propria del lungo percorso accademico di formazione
specialistica.
Non si è in presenza
di un’ipotesi di divisione del lavoro e del cittadino utente, esattamente il
contrario: si ricompone, finalmente, il processo di
tutela della salute riaffermando che l’atto sanitario è dato
dall’insieme e non dalla somma delle professioni che intervengono ed
interagiscono, senza supremazia gerarchica, bensì in una logica di governance
unitaria, unificante e plurale, il tutto per meglio contribuire
all’attuazione del diritto alla salute, costituzionalmente garantito.
E’ evidente che il
professionista che svolgerà le competenze avanzate e a maggior ragione quelle
specialistiche, dovrà dalla contrattazione, ora quella aziendale e
quando riprenderà quella nazionale, avere la garanzia di un ulteriore
trattamento economico, come già avviene nelle Aziende sanitarie nelle quali
il fenomeno si è già attuato: all’interno delle attuali risorse economiche del
SSN un processo di tale natura non potrà che trovare cittadinanza… iniziamo
e poi…
Saverio Proia