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lunedì 20 gennaio 2014

Luca Benci su "Cabina di Regia"

Da Quotidiano Sanità
Le competenze avanzate infermieristiche e la “Cabina di regia”. Alcune riflessioni giuridiche
Un’analisi dettagliata dei due documenti sul futuro delle professioni sanitarie che hanno suscitato tante polemiche. Dai dubbi sul concetto di “competenze avanzate” per gli infermieri a quelli suscitati dal nuovo organismo per la discussione delle tematiche professionali tra governo, regioni e sindacati
19 GEN - Da molti mesi che il dibattito sulle competenze avanzate delle professioni sanitarie e, in particolar modo, sulle competenze avanzate degli infermieri, è diventato la maggiore delle questioni.
Vi sono state prese di posizioni, analisi, polemiche. Questo contributo vuole limitarsi a un’analisi giuridica delle proposte che sono sul tavolo. Dopo molti anni in cui il mondo professionale ha prevalentemente affrontato la problematiche legata alla responsabilità professionale – non certo conclusasi con la deludente legge Balduzzi – in questi mesi si affrontano invece le questioni legate alla legittimità dell’agire professionale delle professioni sanitarie. E’ successo con il caso Marlia sui tecnici sanitari di radiologia medica, succede adesso sulle c.d. “competenze avanzate” degli infermieri. In particolare il dibattito si incentra tra ruolo e competenze degli infermieri e dei medici e, possibile sconfinamento dei primi nel campo riservato ai secondi.

In questa premessa ricordiamo brevemente le norme che legittimano l’agire professionale degli infermieri e, in generale, di tutte le professioni sanitarie con l’eccezione della professione medica.
Il sistema di abilitazione all’esercizio professionale delle professioni sanitarie è regolamentato prevalentemente (ma non esclusivamente) dalla legge 26 febbraio 1999, n. 42 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” che definisce il campo “proprio di attività e di responsabilità” delle professioni sanitarie che poggia su su tre criteri guida rappresentati dal profilo professionale, dal codice deontologico e dalla formazione ricevuta e con due criteri limite dovuti alle  competenze previste per la professione medica e delle altre professioni sanitarie.
Più precisamente, il secondo comma dell’art. 1 della legge 42/1999 recita testualmente:
Il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base nonché degli specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario per l'accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali”.

Le espressioni chiave quindi sono: 
a) campo proprio di attività e responsabilità;
b) contenuto dei decreti ministeriali (profili);
c) ordinamenti didattici (formazione ricevuta);
d) codici deontologici;
4) competenze professione mediche;
e) rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali.

L’attuale sistema di abilitazione all’esercizio professionale si differenzia da altri sistemi di abilitazione, quale ad esempio il sistema mansionariale previgente, per una connotazione flessibile che porta a interpretare in modo diverso nel tempo ruoli e competenze.
Cerchiamo di spiegarci meglio: il sistema mansionariale – ex D.P.R 14 marzo 1974, n. 225 -  era chiuso e rigido. Le competenze infermieristiche erano determinate all’interno di un elenco riportato nell’articolo 2 – seppure con una qualche distinzione – che determinava la liceità dell’esercizio professionale infermieristico alle sole attività ricomprese nel mansionario stesso. Ebbe a specificare una circolare ministeriale che tutto quello che non era ricompreso nell’elencazione, era da considerarsi “rientrante nella professione medica”. L’unico modo per ampliare l’agire infermieristico era il cambiamento normativo. Andava modificato l’atto normativo – D.P.R. – che recepiva il c.d. mansionario, oppure, sempre con atti normativi, si introducevano nuove attività attraverso una serie di atti che, tanti anni orsono abbiamo classificato come “fonti extra-mansionariali” che vedevano talvolta il recepimento in decreti del presidente della repubblica (es. normativa sul 118), altre volte con “linee guida” (es. triage di pronto soccorso) per limitarsi ad alcuni esempi.

Nel 1999 il sistema di abilitazione è cambiato radicalmente proprio con la legge 42/99 che permette una lettura meno rigida in quanto si pone come un atto di legislazione ordinaria – è infatti una legge -  che richiama atti di normazione secondaria quali i decreti ministeriali che recepiscono il profilo professionale e gli ordinamenti didattici e richiama anche atti di normazione extra-giuridica come i codici deontologici. E’ dalla lettura combinata – in diritto “dal combinato disposto” – di questi tre richiami che si ricava “il campo proprio di attività e di responsabilità dell’infermiere. Questo per quanto concerne “i criteri guida” per l’esercizio professionale.

Per quanto concerne invece “i criteri limite” i richiami, come abbiamo visto, sono due: “le competenze previste per le professioni mediche” e il “rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali”.
Il primo dei due criteri postula una lettura non semplicissima e non strettamente giuridica in quanto le “competenze previste per le professioni mediche” non sono indicate dalla legge se non in modo residuale e generalmente limitate alle attività medico-specialistiche. E’ noto che non esiste una definizione generale dell’attività medica: alcune attività e alcuni processi che la professione medica svolge sono intrinsecamente medici, altri sono consuetudinari e di organizzazione e non è detto che in un’attuale lettura storico-evolutiva siano da considerarsi attività esclusivamente mediche o siano, talvolta più correttamente, da considerarsi più genericamente sanitarie.

Ricordiamo infatti che per aversi il reato di esercizio abusivo della professione medicaè necessario compiere “un’attività specifica ed esclusiva della professione tutelata”. Se non ha queste caratteristiche l’atto è lecito e non è coperto ovviamente da sanzione penale.
Non è questa la sede per inoltrarsi nella disamina delle attività specifiche della professione medica. Teniamo solo a precisare che gli invocati classici criteri della diagnosi e della impostazione terapeutica sono senza dubbio riconducibili nell’alveo delle competenze mediche con un’ampiezza però – quanto meno nella parte della esclusività – minore rispetto al passato.

L’altro “criterio limite” – il rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali - costringe a una doppia interpretazione. Si pone come limite bi-multilaterale che obbliga ogni professione al “rispetto reciproco” delle competenze. Nel rapporto medico-infermiere il primo deve rispettare il “campo proprio” di attività e di responsabilità dell’infermiere al pari di quanto debba fare l’infermiere nei confronti delle attività mediche”. Poco esplorato infatti è il rapporto di reciprocità da leggersi con il disposto del “campo proprio”. Quando nasce o si professionalizza una figura alla quale viene assegnato un “campo proprio”, la precedente figura che ricopriva quell’attività si ritrae come nel caso della nascita dell’odontoiatra. Quando nel 1985, in recepimento a una direttiva dell’Unione europea, nacque ufficialmente la professione dell’odontoiatra, le attività  “inerenti alla diagnosi ed alla terapia delle malattie ed anomalie congenite ed acquisite dei denti, della bocca, delle mascelle e dei relativi tessuti, nonché alla prevenzione ed alla riabilitazione odontoiatriche” divennero attività esclusive dell’odontoiatra e non più esercitabili dalla professione medica, fatta eccezione per coloro che avevano cominciato la formazione universitaria prima del 1980 (classica norma intertemporale).

Anche in questo caso la situazione degna di altri approfondimenti non può compiutamente essere affrontata in questa sede.
Un’altra legge che riguarda le professioni sanitarie, la legge 10 agosto 2001, n. 251 “Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica” attribuisce alle regioni – insieme allo stato – la “valorizzazione e la responsabilizzazione delle funzioni e del ruolo delle professioni infermieristico-ostetriche al fine di contribuire alla realizzazione del diritto alla salute, al processo di aziendalizzazione nel Servizio sanitario nazionale, all'integrazione dell'organizzazione del lavoro della sanità in Italia con quelle degli altri Stati dell'Unione.
Infine ricordiamo che, per impulso della legge 1 febbraio 2006, n. 43  “Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali” viene riconosciuta la figura dell’infermiere “specialista”.

Le competenze avanzate degli infermieri
Ancora in modo preliminare possiamo domandarci se – da uno stretto punto di vista giuridico – si debba giungere a un cambiamento normativo generale per il riconoscimento di ulteriori attività alla professione infermieristica e, per extenso alle altre professioni sanitarie, oppure si possa agire direttamente nel presente quadro normativo.

In via astratta le strade percorribili possono essere:
a) il cambiamento normativo che può coinvolgere la legge ordinaria (legge 42) o la normazione secondaria relativa alla modifica del profilo professionale. Entrambe o una sola di esse;
b) l’integrazione di un atto normativo della Conferenza Stato Regioni a normativa statale invariata;
c) l’integrazione al profilo professionale con un nuovo decreto ministeriale relativo alle sole competenze avanzate;
d) la riconducibilità delle competenze avanzate all’attuale sistema di abilitazione all’esercizio professionale attraverso operazioni meramente interpretative.

Queste sono le vie giuridicamente praticabili. Concentreremo la nostra attenzione sul punto sub b) in quanto il punto sub a) è politicamente impraticabile per i tempi lunghi che comporta e il punto sub c) risulta impraticabile per il rischio di introdurre elementi mansionariali in un sistema nato come diverso e in contrapposizione al precedente e rischia di porsi in contrasto parziale con la stessa legge 42 e al suo sistema flessibile. Ci riserviamo infine alcune considerazioni sul punto sub d).

L’integrazione che si pone con l’atto normativo della Conferenza Stato Regioni è – come è noto – all’attenzione del giorno.
Ci riferiamo al documento relativo alla “Bozza di accordo, ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo e le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, recante ridefinizione implementazione e approfondimento delle competenze e delle responsabilità professionali dell’infermiere e dell’infermiere pediatrico”.
europea.”

Vi sono pochi dubbi sulla coerenza giuridica di un sistema che venga arricchito da un atto normativo di quell’organismo cerniera che è rappresentato dalla Conferenza Stato Regioni.
Nel merito la bozza di accordo prevede un percorso metodologico per lo sviluppo delle competenze avanzate.

In primo luogo individua sei distinte aree di intervento: area cure primarie-servizi territoriali, area intensiva e dell’emergenza-urgenza, area medica, area chirurgica, area neonatologica-pediatrica, area della salute mentale e delle dipendenze.  Rispetto alle previsioni della formazione post/base previste per l’infermiere dal profilo professionale, ex DM 739/1994, troviamo un’area in più – quella della chirurgia – e il superamento dell’area geriatrica in favore di una più generale area medica. Nella sostanza le altre aree coincidono. Ricordiamo che lo stesso profilo prevedeva al sesto comma dell’articolo 1 la possibilità di individuare ulteriori aree “richiedenti una formazione complementare specifica” “in relazione a motivate esigenze” del servizio sanitario nazionale. Nulla di particolarmente diverso quindi.

All’articolo 3 della bozza citata si delineano le “modalità e  i percorsi per lo sviluppo delle competenze professionali” che si intendono basati sulla “formazione, sulla ricerca e sull’esperienza professionale” e che avranno come base normativa “i contenuti dei profili professionali e gli ordinamenti formativi universitari”. La continuità e la coerenza con il sistema statale di abilitazione è evidente e non vi sono ulteriori notazioni da porre.

Il secondo comma dell’art. 3 della Bozza  merita di essere riportato per esteso:
“Le regioni e le province autonome, previo confronto con le rappresentanze professionali e sindacali, definiscono, all’interno del processo di accreditamento professionale, i criteri per lo sviluppo delle competenze degli infermieri e la conseguente revisione dei modelli organizzativi”.

Le competenze avanzate – espressione che però non compare in tutta la bozza – vengono demandate alle regioni e alle province autonome con la “conseguente” revisione dei modelli organizzativi. Questi ultimi sono da sempre – prima della revisione del titolo V e precedentemente – ricondotti alle competenze regionali. Vi è da domandarsi se anche lo sviluppo delle competenze avanzate possa rientrare nella potestà delle regioni. L’analisi da fare sarebbe lunga anche perché non solo non è ben chiaro cosa siano le “competenze avanzate” ma – come abbiamo visto – l’espressione non compare neanche nel testo.

Nella vulgata di questi ultimi mesi, con questa espressione, si intendono – non sempre correttamente in realtà - una serie di esperienze legate ad alcune attività come, citiamo a titolo esemplificativo, la completa gestione in autonomia di medicazioni avanzate, l’inserimento e la gestione di determinati presidi come i cateteri venosi centrali a inserimento periferico, alcune modalità di risposta alle “urgenze minori” come l’esperienza del See and Treat toscano, alcune modalità di risposta alle urgenze intermedie come il triageavanzato e non molto altro.

Se circoscriviamo le “competenze avanzate” a queste attività tutta questa discussione risulta praticamente inutile in quanto riguarda una parte ultraminoritaria della professione infermieristica e, soprattutto, delle organizzazioni sanitarie. Se invece per competenze avanzate intendiamo anche lo sviluppo delle competenze – e qui torniamo all’art. 1 della bozza – “per migliorare la presa in carico della persona, la continuità assistenziale tra ospedale e territorio, il governo dei bisogni assistenziali, sanitari e socio sanitari delle persone, delle famiglie e della comunità assistita” allora siamo su un altro piano e si comprende la posta in gioco del dibattito di questi mesi.

Le competenze avanzate quindi non possono essere intese solamente come una qualche mansionein più nei relativi contesti professionali, ma una diversa e più ampia modalità della “presa in carico” del paziente e dei processi assistenziali che permetta risposte più incisive alle mutate esigenze del contesto sanitario. In questo senso l’intervento regionale non solo ampiamente giustificato, ma le regioni sono senza dubbio i soggetti che hanno maggior titolo a intervenire. In questo senso e solo in questo senso – ripeto diverso da una evoluzione simil-mansionariale diversa da regione a regione – si possono trovare ampie giustificazioni del sistema che si cerca di porre in essere. La coerenza giuridica rispetto al sistema attuale è piena. Questo non significa che vi è la totale preclusione nella implementazione di nuove attività, significa che non è questo il suo prioritario mandato.

Il percorso delineato dalla Bozza di accordo si articola poi nella parte formativa attraverso accordi con le università, sperimentazioni gestionali e percorsi formativi ridefiniti.
A livello centrale viene istituito “l’osservatorio nazionale delle buone pratiche professionali e organizzative” costituito da rappresentanti del ministero della salute, delle regioni, dalle rappresentanze professionali e sindacali. L’osservatorio, nei termini previsti dall’art. 5, esprimerà sostanzialmente “pareri” che poi saranno alla base per la “revisione degli strumenti giuridici, economici e normativi” per i rinnovi contrattuali. Sulla costituzione dell’osservatorio, sulla sua composizione e sulle sue attività ci permettiamo di esprimere più di una riserva. Se la natura dell’osservatorio è professionale – e non lo è! – allora è sbagliata la sua composizione, se la natura dell’osservatorio è politico-sindacale allora sono sbagliate le funzioni attribuite, con particolare riferimento alle “buone pratiche professionali”, le quali devono essere valutate da altri soggetti legati prevalentemente all’organizzazione, alla clinica e all’assistenza.

Un’ultima notazione sulle competenze avanzate e sulle esperienze già in atto in questi anni. Una serie di attività – se non la totalità – si sono rese possibili a legislazione invariata senza che – polemiche strumentali a parte – si ponessero nel concreto reali problemi di legittimità. Non vi sono dubbi che l’attuale sistema flessibile permetta una serie di rimodulazioni, anche ampie, al sistema delle competenze e alla sua ridefinizione nelle organizzazioni sanitarie. E’ nato con questo intento, non tutti lo hanno capito e non tutti ne sono consapevoli.

La cabina di regia
Con un successivo accordo con soggetti solamente sindacali si è istituita la c.d. “cabina di regia” che nasce per essere uno “strumento per il confronto permanente unitario e partecipato sugli ambiti di sviluppo professionale, organizzativo e formativo”. Un altro organismo, quindi, oltre all’osservatorio, a stretta composizione sindacale, oltre alla parte istituzionale, che nasce quanto meno in parte, anche questo, per “monitorare lo sviluppo e verificare la revisione dei modelli organizzativi”.

Nell’accordo sulla “cabina di regia” vi sono una serie di affermazioni sulla responsabilità giuridica assolutamente non comprensibili, sovrabbondanti e, soprattutto, inutili  e la cui ratio è esclusivamente di carattere politico.
A una prima approssimazione potremo dire che il primo – l’Osservatorio – ha una funzione strettamente professionale e il secondo – la Cabina di regia – una funzione più strettamente sindacale. In realtà non è così e funzioni professionali e sindacali si sovrappongono in entrambi gli organismi dando luogo a una commistione e a una duplicazione di funzioni di cui non si sentiva certo la mancanza.

Per altro la Bozza che andrà alla Conferenza Stato Regioni, come abbiamo sottolineato, non parla di “competenze avanzate”, ma di “approfondimento delle competenze e delle responsabilità professionali” e di “esperienze avanzate” riferite a quelle già esistenti, mentre il documento sulla “Cabina di regia”, parla di “competenze avanzate e di tipo specialistico” espressione con cui, evidentemente si vuole porre una distinzione tra i due diversi tipi di competenza. Quanto meno il linguaggio e le espressioni andrebbero uniformate.

La Cabina di regia nasce con la premessa di vedere la “presenza delle rappresentanze istituzionali, sindacali e professionali di tutti gli operatori del sistema”, salvo poi specificare la composizione che vede solo i rappresentanti sindacali.
L’accordo sulla “Cabina di regia” rischia, infine, di confliggere con alcuni dettami di quello che rimane della c.d. “riforma Brunetta”, con particolare riferimento all’organizzazione del lavoro.

Luca Benci
Giurista


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