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giovedì 31 luglio 2014

Sentenza in materia di autorizzazioni

ODONTOIATRIA: sentenza rivoluzionaria in materia di autorizzazioni

SILVIA STEFANELLI
31 LUG 2014
SANITÀ
Dopo la Cassazione 10207/2013 (c.d. sentenza Bacalini – si veda il mio commento), i giudici del Tar Lazio spazzano via 15 anni di regime autorizzativo per studi e strutture odontoiatriche.
Andiamo per ordine.
Una società (la Desal Dentist s.r.l. ) che gestisce una struttura odontoiatrica nel Comune di San Cesareo acquista nel 2008 un ramo di azienda avente ad oggetto l’attività odontoiatrica della Galeno s.r.l. (anch’essa titolare di autorizzazione sanitaria dal Comune di San Cesareo).
La Desal chiede quindi la voltura dell’autorizzazione sanitaria.
La Regione rimane inerte.
Stante tale silenzio della pubblica amministrazione, la società decide di provvedere al completamento della procedura di conferma dell’autorizzazione tramite la piattaforma SASS (specifica procedura della Regione Lazio in forza del decreto commissariale n. 38 del 2012).
Nell’ottobre 2013 la Regione diffida la ricorrente a cessare l’attività sanitaria presso l’ambulatorio odontoiatrico e a chiudere la struttura in carenza della necessaria voltura.
La questione finisce allora davanti al TAR.
E qui cominciano gli aspetti interessanti.
La Desal infatti, tra gli altri aspetti, sostiene che (in ogni caso) la voltura dell’autorizzazione non avrebbe dovuto neppure essere chiesta in quanto deve ritenersi obbligatoria solo per le strutture che svolgono prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente (e che la struttura odontoiatrica in causa non rientra in nessuna delle tre fattispecie)
E il TAR dà ragione alla società.
Si legge in sentenza:
….l’attività di odontoiatra svolta, in regime privatistico, presso la Desal Dentist s.r.l.non aveva bisogno di alcuna autorizzazione atteso che la stessa era espletata senza procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente
e ancora:
…nella specie non era necessaria l’autorizzazione all’esercizio dell’attività odontoiatrica non avendo la Regione motivato, nel provvedimento impugnato, il diniego con riferimento all’utilizzo, da parte della società Desal, di macchinari e procedure che comportino rischi per i clienti..
Secondo i giudici infatti l’interpretazione della Regione Lazio secondo cui l’art. 8 dLgs 502/’92 sottoporrebbe ad autorizzazione qualsiasi struttura odontoiatrica (studio e ambulatori) “….non trova infatti conferma nelle disposizioni di legge statale e regionale, le quali prevedono l'autorizzazione soltanto in presenza di ulteriori condizioni di fatto, rappresentate in particolare dalla previsione che l'attività medica comporti un rischio per la sicurezza del paziente (Cass. civ., sez. II, 30 aprile 2013, n. 10207)….”

Peraltro secondo i giudici l’art. 193 T.u.ll.ss., secondo cui “nessuno può aprire o mantenere in esercizio ambulatori, case o istituti di cura medico-chirurgica o di assistenza ostetrica, gabinetti di analisi per il pubblico a scopo di accertamento diagnostico, case o pensioni per gestanti, senza speciale autorizzazione del prefetto, il quale la concede dopo aver sentito il parere del consiglio provinciale di sanità” non può di per sé essere fondante dell’obbligo di autorizzazione tout court ma deve essere oggi letto congiuntamente con la disposizione speciale dettata dall’art. 8 ter, d.lgs. n. 502 del 1992.
Ne consegue quindi che l’autorizzazione all'esercizio di attività sanitarie di cui al citato art. 193 è richiesta solo “per gli studi odontoiatrici (ed in genere, di medici e di altre professioni sanitarie) ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la salute del paziente.
E a questo punto sorge spontanea la domanda:
quali sono allora i casi in ambito odontoiatrico nei quali occorre l’autorizzazione?
Qui la sentenza sembra avere una portata ancora più dirompente.
I giudici affermano infatti che: “….non sembra attività pericolosa quella relativa alla endodonzia e alla implantologia, rientrando tra le prestazioni correntemente effettuate dal dentista, diverso discorso va fatto per la chirurgia, che può essere svolta a diversi livelli ed essere dunque o no pericolosa a seconda degli interventi eseguiti…”
Sempre sul punto, i giudici richiamano la precedente sentenza TAR Lazio 7358/2011 che ha invece valutato la necessità dell’autorizzazione in ragione della presenza di apparecchiatura radiologica.
Da ultimo la sentenza afferma che, peraltro, è la pubblica amministrazione sanitaria a dover “provare” la pericolosità e quindi la “necessità” dell’autorizzazione.
Un commento finale.
E’ pacifico che le sentenze non sono legge e che la decisione commentata potrebbe, se impugnata, venir “rovesciata” davanti al Consiglio di Stato.
Vero è, però, che interviene dopo la Cassazione 30 aprile 2013 n. 10207 (c.d. sentenza Bacalini) che già si era pronunciata in senso analogo l’anno scorso.
Peraltro l’interpretazione che i giudici danno dell’art. 8 ter D.Lgs 502/’92 - il cui dettato legislativo è peraltro ripreso da tutte le Regioni – appare (a parere di chi scrive) del tutto corretto: l’autorizzazione per gli studi non è richiesta tout court ma può essere pretesa solo: a) in presenza di prestazioni di chirurgia ambulatoriale, b) di procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità c) di procedure che comportino un rischio per la sicurezza del paziente.
Quindi, se vogliamo seguire il ragionamento dei giudici del TAR Lazio, dobbiamo far “saltare” i regimi autorizzativi di tutte le regioni d’Italia (esclusi i casi di presenza di un radiologico).
Ciò non toglie che la sentenza suscita, però, due dubbi di non poco conto:
a) il primo attiene al fatto che i giudici si sono spinti ad affermare che “implantologia e endodonzia” non sarebbero “attività pericolose”: valutazione di natura scientifica e non giuridica che, a parere di chi scrive, dovrebbe essere espressa da un organo tecnico e non da giudici
b) il secondo è che in verità il secondo comma del citato art. 8-ter del D.Lgs. 502/’92 (di cui si fornisce la sopra indicata interpretazione) riguarderebbe non già le strutture odontoiatriche tout court ma solamente gli “studi odontoiatrici” (cioè quelli la cui titolarità è in capo al singolo professionista) mentre invece nel caso oggetto di giudizio riguardava una struttura gestita d società: qui sembra di capire – ma non è chiaro - che i giudici accomunino le due fattispecie, dando rilievo pertanto alla tipologia di attività (l’odontoiatria) piuttosto che all’assetto organizzativo della struttura sanitaria.
La linea interpretativa intrapresa dal TAR Lazio è senz’altro nuova e tutto sommato si può dire che faccia propri alcuni input già parte del diritto vivente interno (la progressiva parificazione tra studi ed ambulatori, la cancellazione del potere discrezionale regionale di impedire la realizzazione di nuovi ambulatori sulla base della programmazione) nonché del diritto comunitario, attento pragmaticamente alla tutela egualitaria di soggetti che concorrono nello stesso mercato piuttosto che alla forma giuridica che essi assumono. Restano tuttavia forti dubbi sui punti più innovativi e meno chiari della sentenza, sui quali probabilmente dovrà pronunciarsi il Consiglio di Stato. .
A meno che il Governo Renzi, dopo aver limitato l’invadenza regionale nel campo delle autorizzazioni alla realizzazione di nuove strutture private non decida di intervenire anche sulle autorizzazioni all’esercizio ridefinendo i tasselli di un sistema iperpubblicistico che pare ormai scricchiolare e non poco.

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