Caso
Marlia. Ha senso tenere in vita presidi che non rispettano gli standard?
24 MAG -
Gentile direttore,
ho letto
con attenzione la lettera inviatale dal giurista Benci ed ho seguito, seppur
tramite le cronache giornalistiche, la vicenda sul “caso Marlia” che, a torto o a ragione, è finito per diventare un “caso” non per la pretesa complessità giuridica, ma piuttosto perché si è presentato come un buon
cavallo di battaglia da cavalcare per chi aspira a svolgere compiti che,
secondo quanto emerso dagli atti di indagine compiuti dalla Procura di Lucca e
dai Carabinieri dei NAS di Livorno, la legge riserva in via esclusiva al solo
dirigente medico specialista in diagnostica per immagini.
Da
avvocato penalista che opera ogni giorno in Tribunale in difesa dei precetti
costituzionali ritengo sia necessario precisare quanto segue. Innanzitutto
facciamo chiarezza sui fatti.
Marlia è un presidio ospedaliero distante circa 10 chilometri da
Lucca. Nella struttura di Marlia non erano presenti medici radiologi né erano previsti nell’organico della radiologia. I
pazienti, in virtù di una procedura di gestione
organizzativa interna, ricevevano le prestazioni diagnostiche da parte dei soli
tecnici sanitari per poi gli esami essere refertati dal medico radiologo a Lucca
senza che questi –addirittura- vedesse il
paziente, come se il rapporto medico-paziente potesse essere virtuale e la
medicina si componga di rigidi protocolli e di meri aspetti tecnici.
La
valutazione della prescrizione e del quesito diagnostico, l’anamnesi del paziente, la valutazione della giustificazione
dell’esame prescritto, che
costituiscono attività riservate al medico
radiologo, erano invece affidate al tecnico di radiologia. Del pari la raccolta
del consenso presso la struttura di Marlia veniva effettuata dallo stesso
tecnico di radiologia.
Quello
che più ha destato preoccupazione (e
che lede il bene protetto dalla norma incriminatrice) non è tanto la modalità di raccolta del consenso
quale atto ricettizio ma la mancanza di preventiva informativa medica per la
validità del consenso. Come è noto, e non v’è bisogno di dilungarsi tanto
sulla questione, l’informativa e la raccolta del
consenso costituiscono “atto medico” in quanto la complessità delle informazioni da rendere
postulano non solo la corretta valutare del caso clinico proposto ma, sulla
base di quel bagaglio culturale, scientifico e clinico che il radiologo quale
medico possiede, la possibilità –addirittura- di negare la prestazione radiologica ovvero
proporre esami alternativi. Esami che certamente il tecnico di radiologia non
può prescrivere.
Ridurre
il “caso Marlia” -così come pare spesso emergere dai
tanti commenti, dai resoconti giornalistici e dalle tante iniziative promosse-
ad una questione di difficoltà interpretativa delle norme o
meramente radioprotezionistica, appare poco aderente agli elementi fattuali
emersi che hanno portato all’incriminazione dei tecnici di
radiologia.
Il
problema della delega o della presunta autonomia del tecnico radiologo è dunque un falso problema, così come la presunta antinomia -leggesi conflitto- fra norme
italiane e norme europee (ovvero adottate dal legislatore italiano in
attuazione delle direttive europee).
Le
diverse fonti normative si pongono in rapporto fra di loro e, talvolta,
confliggono reciprocamente. Per questo motivo sono stati individuati, secondo
un ordine successivo, i criteri di soluzione degli eventuali conflitti tra le
norme giuridiche: i) criterio gerarchico; ii) criterio cronologico; iii)
criterio di specialità; iv) criterio di competenza.
Seguendo
i criteri sopra indicati emerge chiaramente che la normativa radio
protezionistica, che delega al tecnico di radiologia i soli aspetti pratici,
non solo risulta essere applicabile ma, in caso di conflitto, è proprio questa a prevalere sulle altre fonti normative
(che forzatamente intravedono per i tecnici una autonomia più ampia di quella tecnica).
Applicando
il criterio gerarchico il d. leg. n. 187/2000 “Attuazione della direttiva
97/43/Euratom in materia di protezione sanitaria delle persone contro i
pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse ad esposizioni mediche",
derivando da un atto normativo comunitario (direttiva), ai sensi dell’art. 288 del Trattato di Roma, costituisce una fonte
normativa gerarchicamente superiore rispetto alle altre fonti di legge (e
dunque anche alla legge 25/1983 che parrebbe individuare una più ampia autonomia del tecnico di radiologia) e come tale non
può configgere con una norma di
rango inferiore.
Del pari
seguendo il criterio cronologico si evidenzia che il d. leg. 187/2000 è cronologicamente successivo alle altre norme
presuntivamente configgenti.
Analogamente,
in base al criterio della specialità, in caso di contrasto tra due
norme, si preferisce la norma speciale rispetto a quella generale
(correttamente in latino: lex specialis derogat legi generali), anche se
quest'ultima è successiva (lex posterior
generalis non derogat legi priori speciali).
Per
chiarezza, la norma è speciale quando presenta
alcuni elementi caratterizzanti che si aggiungono a quelli costitutivi della
norma generale e che ne determinano la riduzione o l’ampliamento della sfera di applicazione. Ciò vuol dire che il fatto concreto, qualora la disposizione
speciale non esistesse, verrebbe sussunto nella norma generale.
Di
conseguenza, nel caso, l’affidamento dei soli aspetti
pratici ex art. 5 del D. Leg. 187/2000 si configura come elemento
caratterizzante che determina la riduzione della presunta autonomia del tecnico
radiologo e, come tale, costituisce una specialità per specificazione rispetto
alla normativa previgente (venendosi a un rapporto di genere a specie tra uno o
più elementi costitutivi delle
diverse fattispecie).
Anche
applicando il criterio residuale di competenza la norma applicabile sarebbe
comunque il d. leg. 187/2000 laddove il trattato Euratom, ancora in vigore, tra
le missioni individua quella di stabilire e garantire l’applicazione di norme di sicurezza uniformi per i pazienti
e per la protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori (ovviamente in
materia di radiazioni ionizzanti) nonché definire (così come avvenuto per la direttiva 97/43/Euratom che ha poi
portato al D. Leg. 187/2000) i ruoli e le figure coinvolte per la corretta
gestione delle applicazioni mediche.
Come è stato giustamente osservato nell’articolo pubblicato non può sussistere una delega di
attività ad un soggetto privo delle
necessarie capacità e competenze.
Ed
infatti la delega richiamata dall’art. 5 del d. leg. 187/2000,
proprio per evitare l’esercizio abusivo della professione
medica, non affida alcuna delega di atti medici ma semplicemente “gli aspetti pratici per l’esecuzione della procedura o
parte di essa”. Non gli aspetti clinici o
medici.
Restano,
invece conservate dal tecnico radiologo le sfere di competenze, più o meno autonome, afferenti le attività tecniche-operative funzionali allo svolgimento della
prestazione medica, dovendosi ritenere intatta l'applicazione della
disposizione generale per tutti gli ambiti non coperti dalla norma speciale.
In
ultimo, ho letto la lettera delle società scientifiche che mi pare
possa essere condivisa. Mi domando: ha ancora senso mantenere in vita quei
presidi che non rispettano i livelli minimi di accreditamento e gli standard di
sicurezza delineati dalle linee guida della comunità scientifica e dall’Istituto Superiore della Sanità sottraendo risorse e personale?
Se questo
è il futuro innovativo ……….
Licia
Gianfaldone
Avvocato
Penalista
Caso
Marlia: il Re è nudo!
24 MAG -
Gentile direttore,
ci voleva
“l’innocenza” di un giurista come Luca Benci afferrato sulle tematiche
delle professioni sanitarie per dire con chiarezza quanto sotto schematicamente
ripreso:Primo, il tecnico sanitario di radiologia medica in forza della legge
26 febbraio 199, n. 42 è un professionista sanitario
il cui campo di attività si basa su tre criteri
cardine: il profilo professionale, la formazione base e post base ricevuta, il
codice deontologico (unico limite le competenze specifiche e riservate della
professione medica e delle altre professioni sanitarie);
2 – il D.Lgs 26 maggio, n. 187 costituisce normativa generale
sulla radioprotezione (art. 1) e solo incidentalmente collide con la normativa
italiana di abilitazione professionale italiana. Per altro vi collide al tanto
discusso articolo 5, terzo comma (“Gli aspetti pratici per l’esecuzione della procedura o di parte di essa possono
essere delegati dallo specialista al tecnico sanitario di radiologia medica o
all’infermiere pediatrico,
ciascuno nell’ambito delle rispettive
competenze professionali”) che nella Direttiva Europea
originale non è così declinato, ma fa riferimento a specialisti e sembra
definire un rapporto tra medici;
3 – in caso di antinomia tra leggi la legge speciale
(normativa professionale) deroga alla legge generale (normativa generale sulla
radioprotezione);
4 – è largamente noto, in dottrina
e in giurisprudenza, che la delega di funzioni non sia in alcun modo
applicabile all’esercizio professionale;
5 – a Marlia i tecnici radiologi operanti non hanno commesso
nessun esercizio abusivo della professione.
Fin qui
Benci.
Occorre,
però, a questo punto essere
altrettanto chiari ed asserire anche:
6 – che con la citata legge 42/99 decade l’equivalenza atto sanitario uguale atto medico e che,
quindi, vi sono oggi atti di competenza medica come la diagnosi (qualche
giurista e medico legale asserisce “la diagnosi differenziale”), ma vi sono anche atti assistenziali, atti riabilitativi,
atti tecnico diagnostici (che sono specifici e riservati di altre professioni)
ed, infine, vi sono atti sanitari generici che “sono di coloro” che si formano nelle sedi opportune al fine di acquisire
le competenze per effettuarli;
7 – che qualsiasi operatore sanitario prima di effettuare una
prestazione effettua una anamnesi al paziente e che di conseguenza l’anamnesi non è un atto medico. Nello
specifico il tecnico radiologo prima di eseguire un esame espleta una anamnesi
tecnica che ha lo scopo di definire come condurre al meglio lo studio
radiologico che si appresta ad eseguire; si aggiunge anche che la raccolta di
dati tramite questionari prima di eseguire una risonanza o una TC non è un atto medico come non lo è verificare lo stato di
gravidanza di una paziente che deve sottoporsi a radiazioni ionizzanti;
8 – che l’informativa al paziente circa
la prestazione che un qualsiasi professionista sanitario si appresta ad
effettuare al paziente non è un atto medico, ma un dovere
del professionista per altro all’interno di un rapporto
obbligazionario tra debitore e creditore della prestazione; esisteranno,
quindi, informative riferite ad atti medici, ma altrettante (e forse più) riferite ad atti assistenziali, riabilitativi, ortottici,
tecnico-diagnostici;
9 – che il consenso alla prestazione sanitaria non è un atto medico, ma è il poter disporre in maniera
valida (consapevole e cosciente) del paziente di beni giuridici che sono per
lui disponibili e che rende lecita l’attività sanitaria (medica, infermieristica, fisioterapica, tecnico
diagnostica, eccetera, eccetera, eccetera);
10 – che i professionisti sanitari (non medici) svolgono la
propria attività su prescrizione, in
autonomia, in collaborazione, ma non su delega di funzioni che, come ha ben
spiegato Benci, non esiste. Per altro prima di “abusare” del termine delega sarebbe buona cosa verificare che cosa
si intenda da un punto di vista giurisprudenziale per delega e quali criteri
debbano ricorre affinché questa sia valida.
Si
potrebbe andare avanti, ma ci sono dei numeri che impongono rispetto e il
numero “10” è uno di quelli.
E’ giunto il momento che le Istituzioni interpellate dalla
Federazione Nazionale (Ministero “in primis”) chiariscano quanto richiesto dalla Federazione medesima,
ma anche il significato della normativa professionale che coinvolge non solo i
TSRM, bensì altre 21 professioni.
L’augurio personale, poi, è che questo momento di
chiarezza divenga la base per costruire insieme ai Medici Radiologi un’Area Radiologica forte e che questa sia la nostra “casa comune”: luogo di confronto, di
crescita professionale e umana, di giornate “piene di vita” e soprattutto di dedizione al paziente.
Massimiliano
Paganini
Responsabile
Gruppo Aspetti Medico – Legali
Federazione
Nazionale TSRM
24 maggio
2013
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