N. 01890/2013 REG.PROV.COLL.
N. 10244/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Statoin sede
giurisdizionale (Sezione Terza)ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10244 del 2003, proposto
da: A.I.F.I. - Associazione Italiana Fisioterapisti, Sezione regionale del
Veneto, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e
difesa dall'avv.Michele Costa, con domicilio eletto presso il suo studio in
Roma, via Bassano del Grappa, 24;
contro
Regione Veneto, in persona del Presidente pro-tempore; e con
l'intervento diad adiuvandum:A.I.F.I. - Associazione Italiana Fisioterapisti,
Sezione regionale della Campania, in persona del Presidente pro-tempore; A.I.T.O.
-Associazione Italiana terapisti Occupazionali, in persona del Coordinatore
regionale per la Campania pro-tempore; A.L.C. - Associazione Logopedisti
Campania, in persona del Presidente pro-tempore; A.N.U.P.I.-Associazione
Nazionale Unitaria Psicomotricisti Italiana, in persona del Presidente
pro-tempore; A.I.T.R.P.P. –Associazione Italiana Tecnici della riabilitazione
psichiatrica e psicosociale, in persona del V. Presidente pro-tempore; tutti
rappresentati e difesi dagli avv. Riccardo Soprano e Antonio Sasso, con domicilio
eletto presso lo studio dell’avv. Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio
Emanuele II, 18;
per la riforma della sentenza del T.A.R. VENETO – VENEZIA,
SEZIONE III, n. 3058/2003, resa tra le parti, concernente modalita' di accesso
alle prestazioni di medicina fisica riabilitativa ambulatoriale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2013 il
Cons. Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti gli
avvocati
Costa e Lofoco su delega di Sasso;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’A.I.F.I. - Associazione Italiana Fisioterapisti,
Sezione
regionale del Veneto, ha impugnato due delibere adottate
dalla
Regione (la seconda a parziale modifica della prima) che,
asseritamente in contrasto con la normativa statale, delineano un ruolo del
fisioterapista meramente esecutivo e privo di autonomia rispetto a quello del
fisiatra, al quale attribuiscono non solo la diagnosi, ma anche di stabilire le
“specifiche prescrizioni”, oggetto del programma/progetto riabilitativo
individuale, che, invece, secondo l’Associazione ricorrente, rientrerebbero
nella competenza del fisioterapista, in base all’art. 2 del D.M. 741 del
14.9.1994 e all’art. 2 della l. 251 del 10.8.2000.
2. La sentenza appellata ha rigettato il ricorso,
riconducendo i compiti del fisioterapista nell’ambito dell’attività di equipe,
che dà attuazione al progetto/programma riabilitativo redatto dal fisiatra.
3. L’Associazione propone appello, lamentando l’errata
interpretazione da parte del TAR delle norme statali che disciplinano la
professione del fisioterapista, con efficacia vincolante anche per le regioni,
in rapporto alle competenze mediche ed a quelle delle altre professioni
sanitarie.
Essenzialmente, l’appellante, pur non contestando che spetti
al medico la diagnosi e la prescrizione del trattamento sanitario, si oppone
all’accentramento dei compiti e delle responsabilità del processo riabilitativo
esclusivamente in capo al fisiatra, con conseguenze lesive non solo delle
attribuzioni professionali del fisioterapista e della sua autonomia, ma anche
lesive per gli utenti, che si vedono complicare l’accesso alle prestazioni
sanitarie del S.S.N. dalla necessità di provvedere ad una visita
ulteriore del fisiatra, anche quando la prescrizione sia
proveniente da altro medico (ad es. ortopedico).
Secondo l’appellante, invece, ai sensi del D.M. 741/1994,
spetta al fisioterapista definire il “programma di riabilitazione”, che
costituisce la “valutazione qualitativa dei casi e delle terapie” da svolgere,
conformemente alle previsioni dell’art. 2, comma 1, l. 251 del 10.8.2000.
Le delibere regionali impugnate, attribuendo al fisiatra la
competenza riguardo al progetto/programma riabilitativo, invaderebbero
illegittimamente l’ambito di attività che il legislatore riserva al
fisioterapista; pertanto, l’inciso “nel rispetto delle attribuzioni e
competenze definite dalla vigente normativa per ogni specifico profilo
professionale” rimarrebbe privo di significato precettivo. La Regione, inoltre,
avrebbe omesso di motivare al riguardo.
Mancherebbe, infine, nella sentenza l’esplicitazione delle
ragioni che giustificano una così grave alterazione delle competenze
professionali del fisioterapista.
4. Sono intervenute ad adiuvandum varie Associazioni che
perseguono istituzionalmente la tutela delle professioni sanitarie nell’area
riabilitativa e della salute degli utenti che di tali servizi si avvalgono.
5. All’udienza del 18 gennaio 2013, l’appello è stato
trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. L’appello non può
essere accolto.
2. La ricostruzione
della normativa statale, fatta propria dal primo giudice, evidenzia, in
effetti, un ruolo di centralità e responsabilità nel percorso terapeutico
nell’area della riabilitazione in capo al medico; cosicché non è stato ritenuto
lesivo delle competenze professionali del fisioterapista che le delibere
impugnate abbiano previsto che l’accesso alle prestazioni riabilitative erogate
dal S.S.N. avvenga sotto il controllo di un medico fisiatra, non solo per il
profilo della individuazione della terapia, ma anche della sua esecuzione.
Analoga
interpretazione è stata seguita nella giurisprudenza di
altri TAR (T.A.R.
Sicilia - Catania sez. II, 17 febbraio 2003, n.
238; T.A.R. Lazio -
Roma, sez. III, 22 febbraio 2012, n. 1792).
Ad avviso del
Collegio la sentenza impugnata tiene debitamente conto, oltre che del principio
dell’autonomia delle competenze degli operatori sanitari, sancito dall’ art. 2
l. 251/2000, anche del
sistema che si è
venuto a delineare a livello statale per assicurare uniformità ai livelli
assistenziali sul territorio nazionale.
L’art. 2 della l. 251/2000 definisce l’attività degli
operatori delle professioni sanitarie dell'area della riabilitazione come
“diretta alla prevenzione, alla cura, alla riabilitazione e a procedure di
valutazione funzionale, al fine di espletare le competenze proprie previste dai
relativi profili professionali”.
L’art. 1, comma 2, del D.M. 14 settembre 1994, n. 741,
recante il regolamento concernente il profilo professionale del fisioterapista,
stabilisce che “in riferimento alla diagnosi ed alle prescrizioni del medico,
nell'ambito delle proprie competenze, il fisioterapista elabora, anche in
équipe multidisciplinare, la
definizione del programma di riabilitazione volto
all'individuazione ed al superamento del bisogno di salute del disabile”.
3. -Su questo punto
si concentrano le critiche alla sentenza svolte dall’appellante.
Il programma di riabilitazione costituirebbe, per
l’appellante, l’atto di “valutazione qualitativa dei casi e delle cure da
svolgere” che qualificherebbe la prestazione del fisioterapista, da svolgersi
in piena autonomia, anche rispetto alle prescrizioni mediche. Secondo il primo
giudice “queste ultime costituiscono l’effettivo confine – un confine molto
elastico, potendo le prescrizioni essere più o meno puntuali (ma giammai del
tutto prevaricatrici dell’autonomia programmatoria del fisioterapista) - tra le
competenze del medico e quelle del fisioterapista.”. Tuttavia, in coerenza col
sistema normativo nazionale, l’autonomia del
fisioterapista si può esplicare solo nel presupposto
dell’esistenza e delle prescrizioni indicate dal fisiatra, quale coordinatore
dell’equipe riabilitativa, così come legittimamente disposto dalla Regione
Veneto.
4. Il Collegio condivide questa impostazione. Premesso che i
requisiti di definizione delle professioni sanitarie e legittimanti il loro
esercizio rispondono all’interesse di ordine generale di tutelare la
collettività contro il rischio di un non appropriato trattamento sanitario,
l'opzione interpretativa fatta propria dal TAR appare coerente con tale
interesse ed è confortata da una serie di elementi interpretativi sistematici.
L'art. 1 della legge 1° febbraio 2006, n. 46 esordisce, al
comma 1, stabilendo che "sono professioni sanitarie infermieristiche,
ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione,
quelle previste ai sensi della legge 10 agosto 2000, n. 251,
e del DM 29 marzo 2001 del Ministro della Sanità", specificando che i
relativi "operatori svolgono, in forza di un titolo abilitante rilasciato
dallo Stato, attività di prevenzione, assistenza, cura e riabilitazione". Per
inciso, una recente pronuncia della Corte costituzionale, la sentenza n. 300
del 2007, a proposito della competenza delle regioni in materia di
individuazione di “operatori di interesse sanitario non riconducibili alle
professioni sanitarie come definite dal comma 1 dell’art. 1 l. 46/2006”, per
quanto qui di interesse, ha confermato la centralità della competenza statale sulla
potestà legislativa regionale che si esercita sulle professioni individuate e
definite dalla normativa statale.
Dalle linee guida adottate dal Ministero della Sanità,
pubblicate sulla G.U.R.I. del 30 maggio 1998, frutto di accordo tra il Governo,
le Regioni e le Province autonome, che forniscono indirizzi e criteri generali,
in modo da assicurare livelli uniformi di assistenza previsti dal piano
sanitario nazionale, ferma l’autonomia delle regioni nell’adottare le soluzioni
organizzative più idonee in relazione alla propria organizzazione, si traggono
opportune indicazioni circa l’ambito delle competenze del fisioterapista e la
delimitazione delle stesse rispetto a quelle proprie del medico specialista
nella predisposizione degli atti terapeutici.
Secondo le linee guida, le attività sanitarie di
riabilitazione consistono negli interventi “valutativi, diagnostici,
terapeutici ed altre procedure” finalizzate a portare il soggetto affetto da
menomazioni a contenere o minimizzare la sua disabilità, ed il soggetto
disabile a riprendere le ordinarie attività di cura della persona e di
relazione con il proprio ambiente.
Le linee guida stabiliscono che “le attività sanitarie di
riabilitazione, richiedono obbligatoriamente la presa in carico clinica globale
della persona mediante la predisposizione di un progetto riabilitativo
individuale e la sua realizzazione mediante uno o più programmi riabilitativi.”
Il progetto riabilitativo individuale viene definito come “l'insieme di
proposizioni, elaborate dall'equipe riabilitativa, coordinata dal medico
responsabile”, che indica, tra l’altro, sia il medico
specialista responsabile del progetto stesso, sia il ruolo dell'equipe riabilitativa,
composta da personale adeguatamente formato, rispetto alle azioni da
intraprendere per il raggiungimento degli esiti desiderati. All'interno del
progetto riabilitativo, il "programma riabilitativo" definisce le
aree di intervento specifiche, gli obiettivi a breve termine, i tempi e le
modalità di erogazione degli interventi, gli operatori coinvolti, la verifica
degli interventi, individua i singoli operatori coinvolti negli interventi e ne
definisce il relativo impegno, nel rispetto delle relative professionalità”. Dall’insieme
delle disposizioni riportate, appare chiaro come occorra preliminarmente una
“presa in carico clinica” del soggetto e che responsabile del progetto
riabilitativo sia il
“medico specialista” anche se la sua elaborazione è frutto
di un lavoro d’équipe. I programmi riabilitativi non rappresentano altro che
ulteriori specificazioni del progetto, chiaramente promananti anch’essi
dall’équipe, sotto la guida del medico, e con l’ausilio
degli altri
operatori sanitari, tra cui il fisioterapista. L’attività
“valutativa e diagnostica” di quest’ultimo si svolge,
dunque, sempre sotto la guida del medico specialista
responsabile, e concorre ad elaborare, in termini esecutivi, il programma di
riabilitazione che fa parte dell’intervento terapeutico già “a monte” definito
dal progetto.
L’art.1, comma 2, del D.M. 741 del 1994, quindi, va inteso
nel senso che prevede la possibilità per il fisioterapista di prestare la
propria attività, prendendo a riferimento le diagnosi e le prescrizioni del
medico, sia autonomamente che in équipe, ma solo in funzione esecutiva delle
prescrizioni mediche (cfr. T.A.R.
Lazio - Roma , sez. III, 22 febbraio 2012, n. 1792, che ha
affrontato la tematica dell’ampiezza delle competenze del fisioterapista con
riferimento alla legittimità del decreto 16 dicembre 2010, adottato dal
Ministero salute, avente ad oggetto "erogazione da parte delle farmacie di
specifiche prestazioni professionali").
5. Per quanto riguarda, specificamente, l’attività
amministrativa della Regione Veneto, innanzitutto, va ricordato che, con la
delibera n. 253 del 1° febbraio 2000, atto di indirizzo e coordinamento per
l’organizzazione dei servizi di riabilitazione, non impugnato, la Regione ha
definito la metodologia di
intervento, distinguendo il progetto riabilitativo
individuale e i programmi riabilitativi individuali, in attuazione e
conformemente alle predette linee guida ministeriali. Vi si legge, a proposito
della riabilitazione nell’assistenza specialistica, che la struttura ambulatoriale
effettua “una presa in
carico globale” del paziente disabile e distingue due
livelli organizzativi delle strutture ambulatoriali, legati alle complessità
dei quadri clinici trattati: un primo livello, rivolto a soggetti con
disabilità minimali, che ove non sia presente il fisiatra, potrà erogare
prestazioni predefinite secondo protocolli fisiatrici; un secondo livello
rivolto a soggetti con disabilità gravi e che richiedono un approccio globale,
che necessita della presenza del fisiatra per una costante valutazione del
quadro clinico (all. 1, pagg. 15 e 16).
La centralità e responsabilità della figura del fisiatra
nell’organizzazione dell’assistenza specialistica e nella redazione del
progetto/programma individuale risale, dunque, alla citata delibera 253/2000,
non impugnata, la quale dispone conformemente ai criteri di cui alle linee
guida richiamate .6. Con le delibere n. 2227 del 9 agosto 2002 e n. 3972 del 30
dicembre 2002, oggetto del presente giudizio, la Regione Veneto
ha inteso, invece, dare applicazione ai livelli essenziali
di assistenza nel Servizio Sanitario nazionale, di cui al D.P.C.M. 29 novembre
2001, limitandosi a prevedere le modalità di accesso alle prestazioni di
medicina fisica e della riabilitazione a carico del servizio sanitario
nazionale, senza apportare innovazioni a quanto già deliberato con la
richiamata delibera n. 253/2000. La delibera n. 2227/2002 prevede che, su
richiesta del medico di medicina generale o dello specialista di altra branca,
il paziente viene inviato a valutazione fisiatrica “in quanto ciò garantisce la
globale presa in carico dell’utente per tutto il percorso
diagnostico-terapeutico con la formazione di un progetto riabilitativo
individualizzato”, e ancora che “spetterà al fisiatra di provvedere alla effettuazione
della visita fisiatrica e alla stesura di uno specifico progetto/programma
riabilitativo”.
La delibera n. 3972/2002 ha, poi, precisato, intervenendo in
autotutela, che il medico fisiatra assicura “l’apporto professionale specifico
dei componenti dell’équipe riabilitativa coordinata dallo stesso, nel rispetto
delle attribuzioni e competenze definite dalla vigente normativa per ogni
specifico livello professionale”. Tale precisazione sgombra definitivamente il
campo dai dubbi di legittimità prospettati dall’Associazione ricorrente, come
correttamente ritenuto dal TAR, in coerenza con le attribuzioni dei singoli
operatori sanitari e dell’équipe, definite dalla normativa statale sopra
richiamata.
7. Da ultimo, con memoria depositata in vista dell’udienza,
l’associazione appellante svolge una nuova argomentazione a sostegno
dell’illegittimità delle delibere impugnate, con riguardo alle buone pratiche
cliniche di cui al “piano di indirizzo per la riabilitazione” elaborato dal
Ministero della salute ed approvato
dalla conferenza Stato-Regioni il 10 febbraio 2011, in cui
si precisa che “il progetto riabilitativo individuale viene elaborato a livello
di team riabilitativo”. Si tratta però di argomentazione inammissibile, in base
al principio “tempus regit actum”, perché ha riguardo ad un atto di indirizzo
intervenuto successivamente all’adozione delle delibere della Regione Veneto.
8. In conclusione, l’appello va rigettato.
9. Le spese di giudizio si compensano tra le parti, tenuto
conto della novità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo
rigetta. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio
2013 con l'intervento dei magistrati: ecc. ecc.
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